Pillole di storia della Repubblica Italiana. Napolitano, dai diritti umani al Quirinale
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ROMA, 18 APRILE 2013 - Tra qualche giorno la storia della Repubblica Italiana inizierà un nuovo capitolo. Al Quirinale, infatti, arriverà il dodicesimo presidente dell'Italia unita (e magari la prima donna se – come in molti auspicano – verrà nominata la Radicale Emma Bonino). In attesa di scoprire chi sarà il nuovo Presidente della Repubblica terminiamo le nostre “Pillole di storia della Repubblica Italiana” parlando dell'inquilino che in queste ore sta lasciando quelle stanze: Giorgio Napolitano (Napoli, 1925).[MORE]
Il 15 maggio 2006 per lui si aprono le porte del Quirinale. Undicesimo presidente della storia della Repubblica e primo a venire dalle fila del Partito Comunista – pur non essendo mai stato “comunista”, secondo una delle più forti critiche da sempre mossegli contro – arriva al Colle dopo essere stato Presidente della Camera (1992-1994) e Ministro dell'Interno (1996-1998).
Tre – tre e mezzo, a volerla dir tutta - i governi succedutisi durante il suo settennato: Prodi (2006-2008), Berlusconi (2008-2011) e Monti (dal 2011). In questi giorni, al termine del suo mandato, si è trovato a gestire una delle più importanti crisi politico-istituzionali della storia dell'Italia repubblicana a seguito dell'impossibilità di formare un governo dopo le elezioni.
Antifascista tra i fascisti ai tempi della militanza nel Gruppo Universitario Fascista (GUF, definito come «un vero e proprio vivaio di energie intellettuali antifasciste, mascherato e fino a un certo punto tollerato», come riportato in “Lord Giorgio d'Italia” di Edmondo Berselli per l'Espresso), nel 1945 aderisce – per qualcuno solo formalmente – al Partito Comunista Italiano, divenendo segretario federale a Napoli e Caserta.
«La mia storia» - ebbe a dire durante la cerimonia per il centenario della nascita di Norberto Bobbio (2009) - «una storia non rimasta eguale al punto di partenza, ma passata attraverso decisive evoluzioni della realtà internazionale e nazionale e attraverso personali, profonde, dichiarate revisioni».
La prima di queste ci riporta al 1956, all'Ungheria dei moti e delle condanne a morte contro l'ex presidente del Consiglio Imre Nagy, il generale Pál Maléter ed altri votate anche da quel Palmiro Togliatti – come raccontò Pietro Ingrao quarant'anni dopo, in quell'occasione disse di aver «bevuto un bicchiere di vino in più» – che aveva voluto l'ormai ex Presidente tra i nuovi dirigenti del Partito Comunista.
Napolitano, seguendo la “linea” togliattiana, definì l'intervento sovietico in Ungheria «[...]evitando che nel cuore d'Europa si creasse una focolaio di provocazioni e permettendo all'Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell'Urss ma a salvare la pace nel mondo». Di ben altra opinione fu, all'epoca, una delle grandi voci del comunismo italiano, quel Giuseppe Di Vittorio che, da segretario generale della CGIL definì «una banda di assassini» i sovietici.
Nel 2006 arriva il pentimento di Napolitano, giudicato però tardivo da molti degli “insorti” d'Ungheria.
Diventato una delle più forti voci moderate del partito ed esponente di spicco della sua ala migliorista – la “destra” del Pci - con la fine dell'epoca togliattiana arrivata alla morte di quest'ultimo nel 1964, diventa coordinatore dell'ufficio di segreteria e di quello politico tra il 1966 ed il 1969 dopo aver traghettato, insieme a Luigi Longo, i comunisti dalla direzione di Togliatti all'era-Berlinguer, di cui Napolitano fu uno dei principali oppositori interni.
Anche per essersi schierato contro il “mito popolare” di Berlinguer, forti furono le critiche sulla lontananza di Napolitano dal comunismo, riassumibili nella definizione di “mio comunista preferito” che di lui dette Henry Kissinger, non certo un complimento per chi veniva da quell'area politico-intellettuale, ma che si basava sulla linea americanista e filo-Nato del Napolitano divenuto, dal 1986, dirigente della commissione del Partito Comunista per la politica estera e le relazioni internazionali, per le quali l'obiettivo dichiarato è il riformismo europeo.
Sul fronte interno, mentre si articola lo scontro con Berlinguer, Napolitano è uno dei perni su cui si basa – proprio alla luce del riavvicinamento con i socialisti – la diplomazia con il PSI di Bettino Craxi, anch'egli forte oppositore del berlinguerismo.
Rimini, 1991, XX Congresso del Partito Comunista Italiano. Berlinguer è morto da sette anni e, secondo i critici, con lui muore anche il comunismo italiano. Al Congresso Napolitano si dichiara favorevole – tenendo fede alla sua idea di “socialismo europeo” - alla fine del Pci ed alla creazione del Partito Democratico della Sinistra. È a lui che Oscar Luigi Scalfaro, salito al Colle nel 1992, affida le chiavi di Palazzo Montecitorio durante la delicata fase di transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica, durante l'epoca del “tintinnar di manette” di Tangentopoli, in cui viene coinvolta – attraverso la spartizione delle tangenti della Metropolitana di Milano – anche la dirigenza comunista, in particolare proprio quell'area “migliorista” di cui Giorgio Napolitano era il vertice massimo. «Come credere» - disse Craxi il 17 dicembre 1993, durante il suo interrogatorio nell'ambito del processo Cusani (affaire Enimont) - «che il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del Pci e aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell'Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del Pci e i paesi dell'Est?».
Nel 1998, divenuto ministro dell'Interno con il primo governo di Romano Prodi (1996-1998) insieme all'allora ministro per la Solidarietà Sociale Livia Turco si fa promotore della omonima legge che istituisce i Centri di Permanenza Temporanea (CPT, diventati con la legge Bossi-Fini Centri di Identificazione ed Espulsione, CIE), dando così vita a quella che da più parti viene definita come una nuova deportazione – questa volta dei migranti – nel cuore del XXI secolo.
Dal 1999 al 2004 viene rieletto - dopo il periodo 1989-1992 - al Parlamento Europeo. Qui, da Presidente della Commissione per gli Affari costituzionali entra nell'inchiesta fatta dall'austriaco Hans-Peter Martin, giornalista e parlamentare europeo. Proprio Napolitano viene intervistato – o almeno questa sarebbe l'idea – da Boris Weber, giornalista della tedesca Rtl (qui lo spezzone della trasmissione)
È così che, il 10 maggio 2006, Giorgio Napolitano diventa l'undicesimo Presidente della Repubblica italiana, con 543 voti su 990 (1009 gli aventi diritto). Il primo atto ufficiale è la concessione della grazia, per gravi motivi di salute, ad Ovidio Bompressi, condannato in via definitiva – sentenza passata in giudicato – per l'omicidio del commissario Luigi Calabresi avvenuto il 17 maggio 1972 a Milano, in risposta al volo dalla finestra dell'ufficio di quest'ultimo del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli.
Sotto il suo settennato avviene la “crisi” del Salone del Libro di Torino del 2008, con le contestazioni ad Israele, invitato per celebrarne la cultura (secondo gli organizzatori) o la dichiarazione di indipendenza di cui ricorreva il sessantennale (secondo i critici). Cade l'ultimo dei due governi di Romano Prodi – il cui nome circola proprio come successore di Napolitano – e si avvera a metà il “sogno” di una certa sinistra italiana: l'8 novembre 2011 cade il quarto governo di Silvio Berlusconi, nel giubilo della folla radunatasi sotto Palazzo Chigi e che di lì a breve avrebbe dovuto fare i conti con il governo tecnico di Mario Monti.
L'ultima delle innumerevoli polemiche che hanno coinvolto l'ormai ex inquilino del Quirinale – dalla crisi ungherese alla sua eccessiva vicinanza a Silvio Berlusconi – rimane la telefonata fattagli dall'ex ministro Nicola Mancino ed entrata nelle cronache nell'ambito delle indagini sulla “trattativa” Stato-mafia.
L'articolo della Costituzione che “rappresenta” i sette anni del suo mandato è il numero 2 («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo»). I morti in Ungheria del 1956 ed i tanti migranti rinchiusi nei Cpt prima e nei Cie oggi spiegano il perché.
(foto: latorrenormanna.wordpress.com)
Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it/]