«Non mi arrendo». L'incredibile storia di Hiroo Onoda
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«Non mi arrendo». L'incredibile storia di Hiroo Onoda

sabato 18 gennaio, 2014

TOKYO, 18 GENNAIO 2014-Il 15 agosto del 1945 l’Imperatore Hirohito annunciò la resa senza condizioni del Giappone: era la fine della seconda guerra mondiale. Il 6 e il 9 agosto gli americani avevano sganciato le prime bombe atomiche rispettivamente su Hiroshima e Nagasaki. La guerra nell’Estremo Oriente era stata terribile con perdite enormi da ambo gli schieramenti. La determinazione dell’esercito nipponico fu proverbiale ma spesso sconfinò nella crudeltà verso il nemico e le inermi popolazioni civili. Soldati formidabili totalmente votati alla causa “succubi”, però, di un codice militare estremamente rigido e incomprensibile per molti occidentali.

Nell’agosto del 1945 i giapponesi alzarono bandiera bianca ma in molti avrebbero preferito combattere ad oltranza contro l’invasore “yankee”. E c’è chi lo fece. Hiroo Onoda aveva 22 anni quando sbarcò sull’Isola di Lubang nel 1944, era stato addestrato nella scuola militare di Nakano. L’ordine che i suoi superiori gli avevano impartito era di non arrendersi a costo della sua stessa vita. Già nel febbraio 1945 il suo presidio fu quasi annientato da un attacco americano. Onoda e tre commilitoni, Yuichi Akatsu, Shoichi Shimada e Kozuka Kinshichi, si nascosero tra le montagne. Nel 1949 Akatsu abbandonò il gruppo di soldati e decise spontaneamente di arrendersi. I suoi racconti scossero fortemente l’opinione pubblica giapponese. Con l’intento di cercare di far arrendere anche i restanti tre soldati, nel 1952 vennero lanciate da un aereo lettere e foto di famiglia per cercare di convincerli a deporre le armi. Tuttavia il gruppetto di “irriducibili” non ritenne attendibili le notizie circa la fine della guerra e continuò l’assurda guerriglia contro gli isolani. Appena due anni dopo Shimada morì in uno scontro a fuoco nella giungla. Infine nel 1972, toccò a Kozuka essere ucciso. Onoda rimase quindi da solo.[MORE]

Furono diversi i tentativi di rintracciarlo: nel 1972 tramite la sorella e degli amici e nel 1973 tramite il padre, che morì poco dopo. Il 20 febbraio 1974 il giapponese Norio Suzuki riuscì finalmente a ritrovare Onoda. Successivamente Sozuki ritornò in patria con le foto del militare e convinse l'ufficiale diretto superiore di Onoda, il Magg. Taniguchi, a recarsi sull'isola per persuaderlo a cessare le ostilità. Hiroo Onoda scrisse: «Osservai attentamente il Maggiore, passarono parecchi secondi (…). Lo zaino sulla schiena mi parve di colpo pesantissimo. (…) Per la prima volta capii che non c’era nessun sotterfugio, nessuno stratagemma: tutto quello che avevo sentito era vero. Lo zaino si fece ancora più pesante. A poco a poco la tempesta si placò e per la prima volta capii senz’ombra di dubbio: i miei trent’anni di guerrigliero dell’esercito giapponese si erano conclusi di colpo. Era la fine. Tirai indietro l’otturatore ed estrassi le pallottole». (Dal libro "Non mi arrendo").

In Giappone fu accolto con tutti gli onori dal Governo (lo stesso che lo aveva dichiarato «legalmente deceduto» nel 1959). Fece fatica ad ambientarsi nella nuova realtà nipponica e nel 1976 decise di emigrare in Brasile dove si sposò e scrisse un libro (intitolato No Surrender: My Thirty-Year War nell'edizione inglese) sui suoi anni nella giungla, divenuto un vero e proprio bestseller. Nel 1984 tornò in Giappone e fondò la scuola per bambini Shizen Juku Onoda ("Scuola Naturale Onoda").

Hiroo Onoda si è spento a Tokyo due giorni fa all’età di 91 anni. L’indomito guerrigliero, divenuto per molti un'icona, lascia in eredità una storia incredibile che ha alimentato le leggende sui cosiddetti soldati fantasma giapponesi ma che mette in risalto l’impatto devastante della guerra sull’essere umano e il dramma di un uomo prima che di un soldato.

Davide Scaglione


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