Tra campi, baraccopoli e caporalato nel Foggiano
Cronaca Puglia

Tra campi, baraccopoli e caporalato nel Foggiano

martedì 7 agosto, 2018

FOGGIA, 7 AGOSTO – Sono migliaia i migranti che vivono nei C.A.R.A. (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) in provincia di Foggia. [MORE]

Oltre mille i migranti ospiti del Cara di Borgo Mezzanone, il centro destinato ai richiedenti asilo a una decina di chilometri da Foggia.
All’incirca lo stesso numero quelli che vivono nelle Baracche e masserie abbandonate, in quella zona tra San Severo e Rignano Garganico, conosciuta anche come la ex pista che si trova a ridosso della struttura di accoglienza, dove l’asfalto scompare, e rimane solo una strada sterrata rotta che porta al "Gran Ghetto".

Gran Ghetto, è il nome dato dai lavoratori stagionali africani a una baraccopoli situata nel mezzo della Capitanata. Una sorta di villaggio, organizzato in “baraccamenti”, attorno ad alcune case abbandonate.

Le abitazioni se così si possono definire, sono delle catapecchie di cartone e legno recuperato, lamiere, e teli di plastica tenute in piedi da corde e fili di ferro intrecciati e concatenati tra loro, in cui si muore dal caldo nel periodo estivo e si rischia il congelamento nel periodo invernale.

Era stato già sgomberato prima dell'estate 2017 il Gran Ghetto, in seguito all’inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Bari su presunte infiltrazioni criminali nella gestione del campo.
Il riferimento principale è stato il caporalato, una piaga che è sopravvissuta ad ogni legge o proposta di legge in materia.

Un campo che da qualche tempo, sta tornando a rinascere, a testimonianza che esseri umani vivono senza le più elementari condizioni igienico sanitarie e dove la criminalità la fa da padrona.

Al culmine della stagione della raccolta del pomodoro, vivono in questi tuguri da 800 fino ad oltre 1.000 persone, per la maggior parte immigranti dall'Africa a maggioranza di nazionalità senegalese, togolese, nigeriana e maliana.

In questa zona della Puglia, i pomodori, l’‘oro rosso’, ha preso il posto del grano, una coltura da mettere ormai nel cassetto dei ricordi, diventata una delle fonti di reddito per la criminalità organizzata che gestisce attraverso il fenomeno del “caporalato” gli immigrati e il loro sfruttamento. Un business, secondo gli ultimi dati, da 38 milioni di euro l'anno.

E come in altre regioni a vocazione agricola del paese, i migranti lavorano, quando lo trovano il lavoro, per una miseria e in condizioni di vita deplorevoli.

Gli stagionali africani, vengono pagati a cottimo, 3,5 euro per ogni cassa piena - circa 300 kg prodotto ognuna - o secondo il prezzo che di volta in volta è negoziato dal "caporale" che incassa una grossa commissione sul raccolto

In una giornata di dodici ore di lavoro, uomo robusto e allenato può riempire al massimo da 6 a 7 casse. Di conseguenza i lavoratori possono guadagnare in media tra 20 e 25 euro al giorno, dai quali devono detrarre 5 euro per il trasporto, 3,5 euro per il cibo, 1,5 euro per una bottiglia d'acqua e 20 euro al mese per il noleggio del materasso in una baracca.

E’ da anni ormai che da più fonti si sottolinea che, il caporalato andrebbe sconfitto proponendo un sistema più giusto e soprattutto legale, che difenda gli interessi dei lavoratori e degli stessi agricoltori, senza sfruttamento e senza precarietà.

Luigi Palumbo

Fonte immagine: Resto al sud


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