I graffiti, la forma di protesta palestinese dalla prima intifada
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I graffiti, la forma di protesta palestinese dalla prima intifada

martedì 3 dicembre, 2013

 RAMALLAH (CISGIORDANIA), 3 DICEMBRE 2013 - Durante la prima intifada, le tecnologie e le forme di comunicazione erano molto diverse rispetto a oggi. I telefoni cellulari e i social network erano ancora lontani, ma l'intifada non avrebbe mai potuto prendere piede senza strategie di comunicazione pubblica. Con le città, i villaggi e i campi profughi, spesso costretti a pesanti coprifuoco, i palestinesi hanno dovuto correre dei rischi, al fine di trasmettere determinati messaggi alla comunità. “Uscivamo di notte, facevamo brevi e concise dichiarazioni e disegnavamo sui muri dei campi”, ha detto Nida al-Azzeh ad Al Jazeera. “Erano dichiarazioni in generale, che chiedevano di boicottare il lavoro in Israele, unirsi agli scioperi, incoraggiare le persone ad agire come una sorta di dovere nazionale. Puntavamo a responsabilizzare le persone e incoraggiarle a resistere".

Uscire di casa furtivamente e andare a dipingere sui muri, è stato un atto di resistenza fondamentale per costruire e sostenere una rivolta collettiva. Atti che si sono mossi nella clandestinità, che se fossero stati sorpresi avrebbero portato a pesanti conseguenze detentive. “Quando venivamo sorpresi dai soldati israeliani, ci arrestavano e ci picchiavano. Io personalmente sono stato accusato di questo, insieme ad altre cose, nel 1989, e condannato a nove mesi di carcere”, ha continuato Nida.

Dopo la firma degli accordi di Oslo e la creazione dell'Autorità Palestinese, le dinamiche della street-art palestinese sono cambiate. I palestinesi non si trovarono più a fronteggiare quel livello di rischio o di pericolosità. In particolare, all'interno dei campi, le dichiarazioni continuavano, ma cominciavano ad evolversi anche altre strategie. Cominciarono ad apparire grandi murales. Nonostante ancora profondamente nazionalisti, i disegni hanno cominciato ad assumere aspetti maggiormente estetici, grazie alla collaborazione di numerosi artisti con le comunità locali e i centri comunitari.

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Abbiamo lavorato a questo progetto per poter lasciare un messaggio alle prossime generazioni”, dice l'artista palestinese Ayed Arafah, “ma la situazione palestinese cambia di giorno in giorno, e i graffiti con loro”. I graffiti che si vedono oggi su tutto il territorio sono spesso finanziati dalle istituzioni. Molti vengono realizzati per esprimere affiliazione a una determinata parte politica palestinese. Uno dei temi più in voga, è però la commemorazione dei martiri o la deportazione di interi villaggi. Anche la costruzione del muro ha portato numerosi artisti, anche internazionali, a raggiungere la Palestina per dipingervi su. E il caso più noto è senz'altro quello di Banksy, anche se i palestinesi rifiutano questo tipo di attività sul muro, perché si corre il rischio di “abbellirlo”. Arafah non dipinge sul muro, ed è amareggiato quando viene a sapere che i tassisti di Betlemme organizzano viaggi per andare a vedere i dipinti di Banksy. Lo stile di Arafah si mantiene ancora legato a quello di trent'anni fa, perché Arafah ritiene che è necessario che un murales sia rivolto ai palestinesi, e che ricordi la prima intifada. La sua non è arte, ma è un atto politico.

Molti dei messaggi in Cisgiordania, comunque, sono scritti in diverse lingue. Da anni la Palestina è meta sempre più frequente di turisti, e ciò tende a creare un clima di maggiore condivisione internazionale.

Foto: aljazeera.com

fonte: aljazeera.com

Dino Buonaiuto


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