Cosa rimane dei nostri amori, recensione
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Catanzaro, 15 Marzo - In questo momento difficile per il nostro paese, che sta vivendo un’emergenza sanitaria senza precedenti dalla II Guerra Mondiale ad oggi, leggere un buon libro può essere una piacevole opportunità per trascorrere bene la permanenza forzata in casa. Fra di essi ve n’è uno, pubblicato da appena un mese, che ha già ricevuto i favori della critica e dei lettori, a tal punto che a pochi giorni dalla stampa è stato candidato al Premio Strega 2020 grazie all’autorevole candidatura del presidente Ferruccio De Bortoli. È “Cosa rimane dei nostri amori” del professore calabrese, che insegna materie letterarie a Bergamo, Olimpio Talarico. Non è entrato nei primi dodici del premio ma stava già ottenendo ottimi risultati di vendite nelle librerie prima della chiusura delle stesse. Quarto romanzo dopo Il due di bastoni, L’assenza che volevo e Amori regalati.
“Il 19 Marzo 1964 nel borgo calabrese di Caccuri si festeggia San Giuseppe. Mentre Jacopo Jaconis è a pranzo con la famiglia, un ragazzo, Saverio Marrapodi, viene trovato sgozzato in campagna a pochi chilometri dal paese. In un’abitazione lì vicino c’è anche il corpo senza vita di una vecchia e strana zitella, Ermelinda Guzzo, colpita a morte da un unico colpo di arma da fuoco. Del corpo della fidanzata di Saverio, Silvia Spadafora, invece non si saprà nulla per molti anni, fino a quando il prete, don Marcello Poli, non accuserà degli omicidi il padre di Jacopo. Quel bambino, ormai diventato un musicista e autore di colonne sonore, sarà così coinvolto suo malgrado in una lunghissima indagine per scagionare il padre dalle accuse”.
Un romanzo corale in cui il vero protagonista è ancora una volta Caccuri, il paese calabrese in cui è cresciuto l’autore. Un noir che indaga le motivazioni che portano al passaggio da persona normale ad assassino, quali sentimenti, interessi, gelosie, passioni, possono trasformare una donna o un uomo così radicalmente. Un contenitore funzionale alla narrazione di Olimpio che gli consente di donarci un passo letterario importante che restituisce un’immagine della Calabria fedele, bella, reale, senza mai utilizzare i soliti filoni che l’editoria spesso impone.
La forza del carattere descrittivo di quest’opera l’autore la rende palese sin dal primo capitolo. Una sinfonia in cui la storia prende vita tra profumi, suoni e colori. I personaggi principali fanno il loro ingresso, alcuni scolpiti con la narrazione, altri dipinti col dialogo. Il costume irrompe prepotente e affascina, cattura l’esposizione della situazione morale che provocherà lo svolgimento narrativo.
Un insieme che, attraverso elementi molto cari all’autore, come la Festa di San Giuseppe, che non c’è più, e la banda musicale che ha sempre accompagnato la sua vita, consente al lettore di respirare l’aria profumata, accorrere al passaggio della processione, fare un giro tra le bancarelle, ma anche vivere i sentimenti contrastanti dei protagonisti, primi tra i tanti indizi che Talarico sapientemente semina lungo il corso della narrazione.
Il racconto, reso a tratti lirico dalla presenza di sentimenti forti, coinvolge fino all’ultimo rigo intensamente, anche grazie all’uso dell’analessi, i salti di tempo, che Olimpio ancora una volta utilizza magistralmente in modo che l’attenzione del lettore sia sempre alta e la sua curiosità sempre stimolata. Trascina con uno stile sonoro, ritmato, preciso, dalla severa cura dell’aspetto esteriore.
Non manca di farci arrivare il suo amore per la letteratura con le numerose citazioni, da Petrarca a Manzoni, Leopardi, Ungaretti, Calvino, ma anche Tolstoj, Hemingway, e tanti altri, e soprattutto con i nomi dei componenti la famiglia di Jacopo, Beatrice, la madre, Anna, Lucia e Penelope le sorelle.
Ci delizia con i sapori dei tanti piatti tipici calabresi e ci fa innamorare di Caccuri, dei suoi rioni, delle sue “vinelle” e del suo paesaggio unico.
Jacopo, che, così come Martino in “Amori regalati”, è un uomo i cui conti sembrano non tornare mai, dopo aver contribuito alla risoluzione del caso, incontrerà per ultimo Libero, il due di bastoni, protagonista del primo romanzo di Talarico, una casualità?
Un argine alla dimenticanza di quelle che sono le nostre origini, coinvolgente, entusiasmante, ci leggerà dentro, ci graffierà, ci restituirà emozioni, bellezza e ci indicherà il luogo da dove ripartire per rinascere più forti di prima dopo questa emergenza.
Saverio Fontana