La crisi e la frammentazione dell’essere in “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello
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LAMEZIA TERME (CZ) 26 NOVEMBRE - La crisi dell’individuo nel suo rapporto con la realtà oggettiva e la frantumazione dei valori che amalgamano la sua unità oggettiva ed integrità psicologica hanno dominato lo spettacolo, in un unico atto, “Uno, nessuno, centomila” di Luigi Pirandello, portato in scena al Teatro Comunale Grandinetti di Lamezia Terme dalla Compagnia Piccolo Borgo Antico di Lipari e inserito nella rassegna teatrale “Vacantiandu”, con la direzione artistica di Diego Ruiz e Nico Morelli e con la direzione amministrativa di Walter Wasta.
Lo spettacolo, per la regia di Tindara Falanga, è stato valutato da una giuria qualificata e parteciperà al Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano la cui cerimonia di premiazione si svolgerà il 29 marzo 2020 al Teatro Comunale Grandinetti. Sul palcoscenico del Grandinetti, allestito in modo minimale con specchi e scenografie mobili in linea con il relativismo pirandelliano, gli attori principali Alessio Vinci, Bartoli Fonti e Adriano Lo Nardo hanno proposto una tematica di grande attualità relativa all’uomo contemporaneo incerto, smarrito e tormentato dalla mancanza di certezze del proprio io che si frantuma in infinite ed indistruttibili persone viste diversamente dagli altri in base alla loro opinione. Protagonista del romanzo “Uno, nessuno e centomila” è il trentenne Vitangelo Moscarda, chiamato Gegè dalla moglie, il quale ha raccontato la sua esperienza sotto forma di monologo al numerosissimo pubblico con un linguaggio quotidiano intriso di qualche vocabolo in disuso. Un giorno, Moscarda che vive di rendita, avendo ereditato la banca del padre, si accorge, su segnalazione della moglie Dida, di avere il naso leggermente storto e altre parti del corpo imperfetti.
Fissandosi su questi dettagli insignificanti, Moscarda entra in una crisi di identità avendo compreso che non esiste una realtà oggetttiva ma relativa. Infatti si accorge di non essere unico, ma nessuno e centomila in base alla concezione che gli altri hanno di lui: è uno per tutti,ma anche nessuno e centomila nel rapporto con gli altri che gli danno una forma in cui resta incapsulato e da cui non uscirà più se non con la pazzia. Vorrebbe distruggere le centomila immagini, costruite dagli altri, ma viene preso per pazzo dalla gente che non vuole cambiare il mondo con le sue regole. Moscarda si rende conto che le persone sono schiave degli altri e di se stesse vivendo in una trappola nella quale è imprigionato lui stesso senza possibilità di uscire da quella maschera immutabile e fissa che gli altri gli hanno dato in contrasto al perenne divenire della vita e al suo incessante cambiamento da uno stato all’altro. Per riacquisare la sua libertà Moscarda decide di cambiar vita, rinunciando al suo lavoro di usuraio, anche a costo delle propria rovina economica e contro il volere della moglie che nel frattempo è andata via di casa. Il tentativo è infruttuoso fino a quando non diventerà povero donando per beneficenza i suoi beni ad un ospizio dove egli stesso andrà a vivere in condizioni miserrime finendo per pranzare in una ciotola di legno.
Ma finalmente si sentirà libero da ogni regola lasciandosi scivolare dalla sua pelle le fisime e abbandonandosi alle nuove sensazioni che gli faranno vedere il mondo in un’altra prospettiva che gli permetterà di vivere attimo per attimo rinascendo continuamente in modo diverso. Alla fine del suo travagliato percorso, Moscarda, l’uomo senza tempo, l’uomo di ieri, oggi e domani, sconfinando nella pazzia si appropria dell’unica arma a sua disposizione per sopravvivere alle insopportabili contraddizioni ed ipocrisie della società. Il romanzo, portato in scena, “ Uno, nessuno e centomila” rispecchia perfettamente il pensiero di Pirandello imperniato sull’umorismo, sul relativismo psicologico e sulla scomposizione della vita che, inevitabilmente sfociano nell’incomunicabilità e nell’irrazionalità relegando l’uomo in un’ amara solitudine.
Lina Latelli Nucifero