Il diritto di prelazione è personale e non può essere trasmesso
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Il diritto di prelazione è personale e non può essere trasmesso

giovedì 25 febbraio, 2016

CATANZARO, 25 FEBBRAIO - Secondo la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte, nella sentenza n. 24151/2015, depositata in data 26 novembre, ai sensi dell’art. 732 c.c. (atteso il carattere personale e intrasmissibile del diritto di prelazione in tema di divisione ereditaria) il soggetto che succede al coerede retraente può proseguire il giudizio già introdotto da o nei confronti di quest’ultimo, al fine di accertare l’avvenuto riscatto da parte del de cuius. Diversamente, non può esercitare, in proprio, alcun diritto di riscatto, non essendo titolare di analogo diritto di prelazione.  [MORE]


Il caso: l’erede, lamentando la violazione d el diritto di prelazione e di esercizio del riscatto in capo al de cuius, aveva chiesto che fossero trasferite in suo favore le quote dell’immobile sito in Trieste, che la convenuta società aveva acquistato dagli altri coeredi, fratelli del defunto.


La suddetta domanda era stata ritenuta inammissibile mentre veniva accolta quella interposta dalla società acquirente consistente nello scioglimento della comunione relativa all’immobile indicato, con assegnazione della quota afferente all’erede attore, dietro pagamento dell’importo di euro 33.787,50.

L’erede soccombente decideva di ricorrere in appello ma la anche la Corte territoriale respingeva le sue richieste, confermando le statuizioni di primo grado e ritenendo inammissibile, in quanto nuova, la domanda proposta dall’attore, di accertamento del retratto già validamente effettuato in vita dal de cuius, posto che nell’atto di citazione era stato chiesto solo l’accertamento del diritto dell’attore medesimo, di esercitare il riscatto delle quote. Altresì, il Collegio aveva evidenziato che non sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’art. 732 c.c., poiché al momento della vendita delle quote dell’immobile per cui vi era causa, era già avvenuta la divisione tra i coeredi degli altri cespiti componenti l’asse ereditario, con conseguente trasformazione della comunione ereditaria in ordinaria. In ogni caso, con l’alienazione delle quote nei confronti della convenuta società i cedenti non avevano inteso disporre della quota ereditaria, ma del singolo cespite, come bene a sé stante.


Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso in Cassazione, su tre motivi di diritto. Con il primo è stata ritenuta inammissibile la domanda formulata dall’erede del retraente sulla base del fatto che sin dal primo grado di giudizio era stato indicato come il de cuius avesse esercitato il diritto di riscatto con missiva, sicché era chiaro che l’attore facesse valere l’iniziativa del dante causa; con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 732 c.c. e rilevato come la comunione ereditaria può venire meno solo a seguito dello scioglimento e della divisione dei beni che, nel caso di quo, difettava; con il terzo motivo è stato contestato che la comunione fosse venuta meno al momento dell’esercizio del diritto di riscatto da parte del de cuius, poiché l’immobile in oggetto costituiva la parte preponderante dell’asse ereditario, pertanto, solo la sua cessione avrebbe comportato lo scioglimento della comunione.


La Suprema Corte, tuttavia, ha integralmente rigettato i primi due motivi di diritto, dichiarando inammissibile il terzo poiché: 1. Secondo l’art. art. 732 c.c. il diritto di prelazione ha carattere personale e intrasmissibile, e, pertanto, il soggetto che succede al coerede retraente può proseguire i giudizi già in essere, promossi da o nei confronti del retraente, ai sensi dell’art. 110 c.p.c., al fine di accertare l’avvenuto riscatto. Non può, tuttavia, chiedere, come fatto dall’attore, l’accertamento di un proprio, inesistente, analogo diritto di riscatto; 2. la ratio dell’art. 732 c.c. e della limitazione alla libertà negoziale che ne discende, risiede nell’esigenza di assicurare la persistenza e concentrazione della titolarità dei beni comuni in capo ai primi successori, impedendo l’inserimento di terzi estranei. Nel caso di specie, la comunione non era più operante all’epoca dell’alienazione delle quote alla società contro resistente, pertanto, la pronuncia della Corte di appello era esente da vizi; 3. la Corte di Appello aveva argomentato l’inapplicabilità dell’art. 732 c.c. sia sotto il profilo dell’intervenuta trasformazione della comunione ereditaria, in comunione ordinaria, sia con la qualificazione dell’atto di vendita in parola, come cessione del singolo cespite come bene, e non della quota ereditaria. A parere della Corte di Cassazione, tuttavia, l’istante ha contestato soltanto la prima argomentazione, trascurando la seconda che, da sola, è in grado di sorreggere la decisone sul punto. Conseguentemente, la censura è stata ritenuta inammissibile in quanto non idonea a condurre all’annullamento della decisione e l’istante è stato condannato al pagamento delle spese di giudizio.


Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express
 


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