Lea Garofalo, per i giudici fu la vendetta di Cosco: «Voleva cancellarla dalla faccia della terra»
Cronaca Lombardia

Lea Garofalo, per i giudici fu la vendetta di Cosco: «Voleva cancellarla dalla faccia della terra»

martedì 20 agosto, 2013

MILANO, 20 AGOSTO 2013 - Come si legge nelle motivazioni appena depositate della sentenza dei giudici della prima Corte d’assise d’appello - presieduta da Anna Conforti - che tre mesi fa ha confermato quattro ergastoli a Carlo Cosco, 43 anni, per l’omicidio ex compagna Lea Garofalo, l’uomo: «Aveva un unico obiettivo: cancellarla dalla faccia della terra, non solo uccidendola, ma anche disperdendone ogni traccia materiale».

Quindi Cosco, non uccise Lea (36 anni) preso da un raptus - come ha confessato nell’aula del processo – ma perché, dopo che l’ex compagna lo aveva abbandonato – mentre lui era in carcere – portandosi via anche la figlia Denise: «In una situazione di così esacerbato rancore per l’abbandono impostogli, per l’orgoglio ferito (...) la scelta collaborativa di Lea non può che avere svolto una funzione moltiplicatrice. Carlo evoca l’elaborazione del progetto omicidiario, la sua illustrazione agli esecutori materiali, l’assegnazione dei compiti», nelle motivazioni della sentenza si legge ancora: «Cosco non ha mai accettato le scelte trasgressive - sia rispetto alla vita familiare, sia rispetto a quelle imperanti in ambito criminale, tanto più se contiguo, come nel caso concreto, a una associazione di stampo mafioso - di Lea Garofalo e ha, anzi, maturato e coltivato per anni un odio profondo nei confronti della stessa». [MORE]

Dunque, Cosco non partecipa attivamente all’omicidio, uccidendola in prima persona, tuttavia – per i giudici - mente nel tentativo impossibile di limitare la sua responsabilità di mandante di un omicidio premeditato da anni. Inoltre, sempre secondo i giudici non è del tutto convincente neanche il racconto del pentito Carmine Venturino, 25 anni - il più giovane dei condannati all’ergastolo in primo grado - che poi collaborando con gli inquirenti ha reso possibile il ritrovamento nel tombino di un capannone gli ultimi resti di Lea, il cui cadavere venne fatto bruciare per due giorni. Puntualizza la sentenza: «Troppo repentina l’inversione di rotta attuata» con la confessione da Venturino, che pure rivendica i suoi legami con i Cosco, rappresentandosi come servo fedele e grato». Per i giudici la scelta di Venturino potrebbe «essere figlia di accordi interni all’intero gruppo di imputati per salvare il salvabile».

Infine, la Corte finisce per ammettere che «di fatto le modalità di esecuzione dell’omicidio restano sconosciute e neppure quelle di distruzione del cadavere possono dirsi certe», nonostante ciò, le prove individuate dal processo di primo grado sono solide, concludendo che: «L’asserita indifferenza di Carlo Cosco verso le scelte di vita di Lea è, oltre che surreale, smentita dalle plurime risultanze probatorie. L’imputato appartiene a una sottocultura che non è incline a tollerare lo svilimento della figura maschile e del suo ruolo primario all’interno della coppia da parte di una donna».

(fonte: Il Giorno)

Rosy Merola


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