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BOLZANO, 13 AGOSTO 2011- Quando è stato introdotto per la prima volta, nel 1964, il suo ideatore, l'architetto Robert Propst era convinto che l'open space avrebbe rivoluzionato il modo di lavorare, dando a ogni impiegato la sua privacy e uno spazio da personalizzare, e garantendogli allo stesso tempo l'interazione con i colleghi e un ambiente più sereno.[MORE]
A cinquant'anni da allora, però, sono sempre di più le scuole di pensiero pronte a scagliarsi contro gli uffici organizzati in questo modo.
Secondo il neuroscienziato Jack Lewis,ad esempio, il lavoro in open space riduce le prestazioni aziendali del 32 per cento e fa diminuire la produttività dei lavoratori del 15 per cento. Colpa della distrazione, secondo quanto è stato misurato anche con delle cuffie per il rilevamento delle onde cerebrali; i cervelli di chi lavora negli open space sono concentrati su tutto tranne che sul lavoro.
Un risultato confermato anche da uno studio del Politecnico di Bari, che parla di come a far perdere la concentrazione sono prima di tutto le voci dei colleghi (31 per cento), poi i telefoni (27%), gli impianti di condizionamento (15%), le macchine da ufficio (13%) e rumori esterni vari (13%).
Dello stesso avviso anche i francesi dell'osservatorio Actinéo sulla qualità del lavoro, che puntano il dito anche sulla riduzione degli spazi a disposizione dei lavoratori, che si dimezzano quando si parla di open space.
Insomma, se è vero che non avere un ufficio per sè può aumentare l'insicurezza e i conflitti, va anche detto che gli spazi aperti aiutano effettivamente la condivisione, cosa che in alcuni contribuisce anche a ridurre lo stress.
Insomma, come spiega la psicologa Annalisa De Filippo, di pro e di contro se ne potrebbero elencare un'infinità. Molto dipende anche dalla personalità dell'impiegato.
Simona Peluso