Il pescespada non esiste: ritratto (sur)reale dell'Italia di provincia
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“Gli Omini” sono una giovane (ma pluripremiata) compagnia teatrale toscana composta da tre omini Francesco Rotelli (OR), Riccardo Goretti (OG), Luca Zacchini (OZ) e da un’omina Francesca Sarteanesi (OS).
Hanno recitato al Teatro Politeama di Lamezia Terme nella pièce shakespeariana di Massimiliano Civica “Un sogno nella notte dell’estate” nella quale i tre omini interpretavano il ruolo degli artigiani mentre l’omina era Ermia, l’innamorata di Lisandro, e in occasione della loro permanenza a Lamezia Terme hanno presentato presso la Biblioteca Comunale di Palazzo Nicotera il loro libro “Il pescespada non esiste. Interviste, racconti, frasi fatte, fiori fritti in memoria del tempo presente”.[MORE] Il libro nasce da un progetto teatrale e socio-umanistico dal titolo “Memoria del tempo presente”. I nostri omini per 17 settimane percorrono alcuni paesi dell’hinterland toscano, romagnolo e marchigiano vivendo tra la gente e con la gente, raccogliendo interviste e aneddoti che si trasformeranno poi in copioni e spettacoli teatrali veri e propri. Con un’operazione che riveste un’importante funzione sociale, questi 4 ragazzi armati di registratore, videocamera e macchina fotografica “portano il teatro alla gente” là dove il teatro non c’è e questo per rispondere, anche, all’esigenza socio-umanistica dichiarata nel progetto.
Il pescespada non esiste, edito da Titivillus, prende il titolo da una delle frasi pronunciate da una moglie durante un brevissimo dialogo con il marito.
Il libro ha un ritmo godibile e scorrevole, una scrittura immediata che restituisce la freschezza e la leggerezza del linguaggio orale con le pause, le incertezze, gli intercalari, i modi di dire popolari. Il viaggio intrapreso dai nostri omini si svolge lungo un itinerario geografico reale e ben definito che va da Chiusi della Verna (Arezzo), passa per Pennabilli (Pesaro-Urbino), Prato, Lamporecchio, la montagna pistoiese (Abetone, Cutigliano, San Marcello Pistoiese, Piteglio) e termina a Fosdinovo (Massa Carrara) – e di cui gli autori ci offrono delle deliziose istantanee che sembrano evocare i vecchi dagherrotipi più che le cartoline patinate riservate ai turisti.
Gli scenari sono paesaggi prevalentemente montani e pedemontani con alberi verdi, curve, fiumi, neve, unica eccezione: Prato (circoscrizione Est) dove alla natura si sostituisce lo skyline di un grigio quartiere industriale.
I luoghi sono quelli del popolo: i bar, la bocciofila, i circoli, le pro-loco, la scuola, le piazze.
L’approccio è di matrice antropologica ma i protagonisti non hanno un’identità precisa. Sono gli omini e le omine di tutti i tempi e di tutti i luoghi con il loro linguaggio fatto di semplicità e arguzia, poesia e luoghi comuni, nostalgici frammenti di vite sognate, affettuose memorie e malinconiche testimonianze di vite vissute.
Da questi referti sociologici che pur non vantando nessuna pretesa di attendibilità sottendono una forza creatrice e visionaria, nascono due sceneggiature desunte, due copioni dettati dalla vita vera: CRisiKo! E GABBATO LO SANTO in cui con consapevolezza dissacratoria e soave irriverenza vengono trattati i grandi temi esistenziali: Dio, la vita, la morte, il sesso, le donne, la malattia, l’omosessualità, l’immigrazione, il lavoro…ma anche i piccoli e tediosi problemi quotidiani che affliggono un sottoregno “umano e animale” che vive ai margini e in cui i confini tra “humanitas e feritas” si fanno via via più fluidi: il cacciatore di cinghiali, il cacciatore di uccellini, la vedova che rincalza piantine, la vecchietta centenaria che si “balocca” con le galline e l’orto, un grande cane dal nome Pelo figlio di campioni del mondo, l’aria buona, la coppia di papere chiamate Pasqualine perché sono state comprate per Pasqua…
Tuttavia la cifra stilistica che lega questo flusso di pensieri in libertà è la solitudine e il bisogno di ascolto. Al di là di una prima – disincantata - lettura in cui il dato immediato è la leggerezza e il sorriso (anche amaro), c’è un secondo livello che lascia intravedere un disperato bisogno di comunicare e fa emergere una fotografia del sociale nei colori in bianco e nero della solitudine, quella “solitudine canina” tanto cara a Goffredo Parise.
Gli Omini, di fronte a questa galleria di varia umanità, si mettono in ascolto e ricominciano a decodificare l’alfabeto dell’uomo, quell’alfabeto che per fretta, distrazione, pigrizia o insofferenza abbiamo disimparato a leggere.
In questo modo persone e vicende incontrati nel tempo reale della cronaca vengono avviati con gioiosa e giocosa impertinenza in un territorio fuori dalla storia e dal tempo: quello della rappresentazione. Perché il mondo forse non può essere cambiato ma rappresentato sì. E quanto più sfacciata e faziosa sarà quella rappresentazione tanto più essa sarà in grado di attivare quel processo di identificazione capace di risvegliare ansie segrete ed emozioni sopite.
Gli omini: da artigiani sulla scena, ad artigiani della parola.
Giovanna Villella