#25aprile, dalla Sicilia i primi passi verso la "Liberazione" nei ricordi di Giuseppa Villari
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MESSINA, 25 APRILE 2013 - Sicilia, notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, è qui che ha inizio la “Liberazione” del nostro paese, con lo sbarco nell’isola delle forze alleate. A Licata, sulla costa sud della “trinacria”, gli americani tentarono l’impresa di allontanare il nemico dall’Italia, terra definita da Winston Churchill “il ventre molle dell'Asse”. Nessuna difesa si verificò da parte delle truppe italiane, forse stanche e ormai demotivate.
Jack Belden, corrispondente di guerra della rivista statunitense Life, disse a proposito dello sbarco in Sicilia: “Attraverso la folla che ci dava il benvenuto, una colonna di soldati italiani che si erano arresi e fatti prigionieri. Marciavano su un lato della strada con le braccia alzate sulla testa. Ne vidi uno che ci guardava rabbiosamente. Un altro soldato camminava con le lacrime che gli scorrevano lungo la faccia…mai avevo visto uno spettacolo più pietoso. Questi soldati italiani, mentre passavano attraverso la folla dei loro connazionali, che acclamavano i soldati di un altro paese, fino a poche ore prima “nemici”…eravamo a Giacalone, un paesino nei pressi di Monreale. Era il 21 luglio 1943”.
Lo stesso Giornale di Sicilia il 22 luglio pubblicava a grandi lettere, di fronte a tale situazione, il titolo “CHI SONO I DISERTORI?”. Ma la Sicilia era ormai devastata dal conflitto e Messina, raggiunta il 17 agosto del 1943 dalle truppe del gen. Patton, era ben lontana dal suo antico splendore, messa già a dura prova dal devastante terremoto del 1908.
Una giovane ragazza, che allora aveva appena sedici anni, racconta oggi, alla veneranda età di 88 anni, quanto dura sia stata la vita durante il secondo conflitto mondiale. Giuseppa Villari, messinese classe 1927, era una giovane di buona famiglia, che viveva nella zona sud della città, località Pistunina, a casa dei nonni, mentre i genitori vivevano poco vicino. Cinque figli di un papà barbiere ed una vita come altre, vissuta a casa di un nonno direttore di un’azienda d’agrumi molto nota in città, quella dei fratelli Giannetto. “Ero la prima nipote – dice - e per questo molto amata dai miei nonni che mi hanno voluto con sé”.
Un uomo rispettato Domenico La Tella, nonno di Giuseppa, che anche camminando per strada riceveva gli ossequi di tutti. Egli era cresciuto, infatti, in casa di una zia, Peppina La Tella, che, per la sua immensa bellezza, fece innamorare, non senza creare problemi, il figlio del procuratore generale del re, Angelo Aronne, calabrese di Gallico. Lorenzino, questo il nome dello zio acquisito, possedeva una meravigliosa villa, ancora esistente, di cui Giuseppa non può dimenticare l'incanto degli affreschi e l'eleganza delle ampie sale. Qui l'Aronne riceveva personaggi illustri, uomini politici e lo stesso Giuseppe Garibaldi. Una vita di lusso pari a quella di molti signorotti siciliani dell'epoca. Giuseppa racconta anche di come lo zio Lorenzino diede in prestito a Garibaldi, che alloggiò con Anita in quella splendida casa, 250mila lire su sua diretta richiesta, allo scopo di organizzare lo sbarco dei Mille, con la promessa di una futura restituzione. Tante erano le ricchezze che la famiglia possedeva, e immensa la generosità, a detta di Giuseppa, degli zii, tale da consentire il prestito di una così alta cifra nel 1860.
Persone, dunque, di un certo ceto sociale, che hanno vissuto, a causa delle vicende mondiali, uno stato di povertà e fame cui non erano abituati. Giuseppa ricorda ancora la paura che le prendeva non appena sentiva la sirena suonare tre volte, “tremavo senza volerlo e non riuscivo a fermarmi finché non suonava il cessato allarme”, racconta. Ci si rifugiava dove meglio si poteva, sotto i tombini o nelle aree in cui i bombardamenti non arrivavano. La povertà era di casa, “il governo ci passava 150gr. di pane al giorno e null’altro, e per non patire la fame mangiavamo i limoni del nostro giardino”, dice con tristezza. In città ormai non vi era più nulla, se non qualche bottega che era riuscita a rimanere aperta, anche se non fino alla fine del conflitto. E un ricordo tenero affiora quando Giuseppa afferma “ai piedi avevamo solo zoccoli, niente scarpe, tanto che non appena la guerra è finita la prima cosa che ho pensato è stata: “Ora finalmente avrò un paio di scarpe di cuoio”.
In questo clima l’arrivo degli americani è stato accolto come una boccata d’ossigeno che non può essere espressa con nessun altro termine se non “liberazione”. “Scendevano dalle montagne, da Dinnammare (monte tra i Peloritani), e noi mandavamo baci a quei soldati che ricambiavano gridando “noi vi capiamo, siamo figli d’italiani”, racconta Giuseppa. Gli Americani trovarono Messina praticamente ormai priva di truppe tedesche, poichè poco prima il Generale Hube aveva attraversato lo Stretto con le sue ultime retroguardie. Il 3 settembre del 1943 gli alleati sbarcheranno in Calabria.
Giuseppa Villari sposerà, nel 1953, Orazio Mangano il cui fratello, Filippo, sarà fucilato nell’eccidio di San Polo ad Arezzo, il 14 luglio 1944, e il cui cugino è il celebre Giuseppe Mangano, morto nella battaglia di Punta Stilo, a soli venti anni, sulla nave Giulio Cesare, il 9 luglio del 1940. Il monumento creato dallo scultore Saro Leonardi nel 1941 in suo onore, è una delle opere più toccanti e pregevoli del cimitero monumentale di Messina. [MORE]
Katia Portovenero