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Spiare WhatsApp è reato: ora si rischiano fino a 10 anni di carcere

Redazione
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 Spiare WhatsApp è reato: ora si rischiano fino a 10 anni di carcere
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La Corte di Cassazione alza il livello di tutela della privacy: WhatsApp diventa ufficialmente “corrispondenza” protetta dalla Costituzione.

Spiare il cellulare del partner o di chiunque altro non è solo un comportamento scorretto, ma è ufficialmente un reato grave. Ad affermarlo, con una recente pronuncia, è stata la Corte di Cassazione che ha stabilito come l’accesso non autorizzato a WhatsApp sia assimilabile al reato di accesso abusivo a un sistema informatico. La pena? Fino a 10 anni di carcere.

Il caso: una separazione finita in Tribunale

Tutto è nato da una dolorosa causa di separazione a Messina. L’uomo, protagonista della vicenda, aveva recuperato e utilizzato contro l’ex moglie alcuni messaggi WhatsApp estratti senza consenso dal suo telefono. Non solo: avrebbe anche prelevato screenshot dal registro chiamate e dalla messaggistica di un secondo dispositivo usato dalla donna per lavoro. Questi contenuti erano stati consegnati al suo legale e utilizzati in giudizio civile per ottenere l’addebito della separazione.

Secondo quanto riportato da Il Messaggero, la donna aveva denunciato già nel 2022 atteggiamenti ossessivi e controlli sistematici da parte dell’uomo, culminati nella sottrazione dei dati sensibili.

WhatsApp è un sistema informatico a tutti gli effetti

La Cassazione è stata chiara: WhatsApp è considerato un sistema informatico, in quanto applicazione progettata per gestire comunicazioni tra utenti mediante l’uso di reti di computer. Quindi l’estrazione e l’uso non autorizzato delle chat integra pienamente il reato di accesso abusivo, aggravato dalla presenza di password a protezione dei dispositivi violati.

Inoltre, l’intrusione viene ritenuta ancora più grave quando avviene violando i limiti di accesso consentiti, anche se la vittima aveva dato un generico consenso all’uso del telefono in precedenza. Secondo i giudici, infatti, il consenso non vale se l’accesso eccede i limiti per cui era stato concesso.

La svolta: le chat WhatsApp sono “corrispondenza privata”

La vera novità arriva però da una successiva pronuncia, quella della Cassazione Penale di gennaio 2025 (sentenza n. 1269/2025), che ha portato una vera e propria rivoluzione nella tutela della privacy digitale: le chat WhatsApp sono equiparate alla corrispondenza privata, godendo delle stesse tutele previste dall’articolo 15 della Costituzione.

In concreto, questo significa che i messaggi e le conversazioni salvate sugli smartphone non sono semplici documenti digitali, ma vengono riconosciuti come comunicazioni private, inviolabili senza un esplicito provvedimento dell'Autorità giudiziaria.

Cosa cambia con la nuova sentenza?

Da oggi, estrarre messaggi WhatsApp, screenshot di chat o registri delle chiamate senza autorizzazione giudiziaria è illegale, anche se la persona coinvolta ha dato il proprio consenso. Secondo la Cassazione, il consenso può essere viziato, e non esime le forze dell’ordine dall’obbligo di rispettare le garanzie previste dal codice di procedura penale.

Il dispositivo mobile viene dunque considerato un contenitore di corrispondenza, assimilabile a una cassetta postale o a un archivio di lettere personali.

Non è più sufficiente essere in possesso del dispositivo o ottenere l’approvazione dell’utente: serve un sequestro autorizzato e motivato dal giudice, come previsto dagli articoli 253 e 254 del codice di procedura penale.

La precedente della Corte Costituzionale

Questa storica svolta si inserisce nel solco tracciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 170/2023, la cosiddetta “sentenza Renzi”, che aveva già riconosciuto la natura di corrispondenza ai messaggi di posta elettronica, SMS e WhatsApp conservati sui dispositivi elettronici.

La Cassazione ha ribadito che il concetto di “corrispondenza” non si limita alla comunicazione cartacea o telefonica tradizionale, ma abbraccia ogni forma di scambio di pensieri, idee, notizie effettuata con strumenti moderni. Di conseguenza, anche le chat su WhatsApp rientrano nella protezione costituzionale.

Le implicazioni pratiche

Questa evoluzione normativa ha conseguenze dirette sia nelle indagini penali che nella vita quotidiana:

  • Non si possono più utilizzare liberamente le conversazioni WhatsApp come prove in tribunale senza un decreto autorizzativo.
  • Anche in ambito familiare e privato, spiare il telefono di un partner o di un familiare costituisce reato, punibile severamente.
  • Gli smartphone, ormai veri e propri scrigni della nostra vita personale, godono di una protezione rafforzata, che rende sempre più difficile aggirare le garanzie della privacy.

La nuova interpretazione della Cassazione rappresenta una svolta epocale nella tutela della privacy digitale in Italia. WhatsApp non è più un semplice mezzo di comunicazione, ma viene riconosciuto come parte integrante della sfera personale protetta dalla Costituzione.

Spiare chat o dati da uno smartphone può ora costare anni di carcere. Un chiaro segnale: la privacy non è un optional, è un diritto fondamentale da rispettare sempre.

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Scritto da Redazione

Giornalista di InfoOggi

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