l'Arcivescovo Bertolone Omelia in occasione del 10° Anniversario dell' attentato alle Torri Gemelle
Entra nel nostro Canale Telegram!
Ricevi tutte le notizie in tempo reale direttamente sul tuo smartphone!
Omelia in occasione del 10° Anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle Catanzaro, Basilica dell’Immacolata, 11 settembre 2011
Saluto con tanta cordialità il signor sindaco, il signor Prefetto, la Presidente della Provincia, all’assessore alla cultura prof. Nicola Armignacca, gli altri amministratori civili e le autorità militari. Saluto i confratelli nel sacerdozio ed i carissimi fedeli convenuti per ricordare, pregare, imparare quanto di un fatto come quello dell’11 settembre 2001, si può e si deve fare memoria e trarre utili indicazioni di interpretazione della storia. Ma non possiamo non ricordare anche i fratelli di Soverato che 11 anni fa hanno vissuto il dramma della morte di 13 persone presso “il Camping le Giare”.[MORE]
La Parola divina non smette mai di stupire. Senza alcun merito da parte nostra, entra nella storia del mondo e di ogni uomo, affinché ciascuno possa rispondere agli interrogativi più inquietanti riguardo vita, morte, male, dolore. Non c’è da meravigliarsi, perciò, se sorprendente è la coincidenza tra il tema dominante della liturgia di oggi (XXIV domenica del tempo ordinario) e il fatto di carattere mondiale accaduto dieci anni or sono. Infatti, la Parola di Dio, oggi, 11 settembre, ci parla di perdono vicendevole, mentre motivi per serbare rancore e odio ce ne sono tanti, soprattutto da parte di chi, a distanza di dieci anni dall’attentato alle Torri Gemelle, ancora porta dentro e fuori di sé le ferite di un dolore inconsolabile.
Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia domenicale, celebriamo il memoriale della nostra salvezza. Memoriale significa che non ci limitiamo a fare memoria di ciò che Dio ha fatto, ma in spirito di fede, ci ritroviamo sapendo con certezza che per mezzo dello Spirito Santo Dio fa rivivere per il nostro presente i benefici del Suo amore, che ci raggiunge e ci apre alla salvezza. E’ cosi che noi cristiani intendiamo il “fare memoria”: non solo la commemorazione del passato, ma l’attualizzazione di un evento nell’oggi della nostra storia. Se nella prima Lettura il Siracide a più riprese ripete un verbo molto caro a tutta la storia di fede di Israele, il verbo “ricordare”, noi sappiamo che questo nella prospettiva cristiana non è un tornare indietro, ma un guardare al passato come una forza che illumina il nostro presente.
Oggi, dicevo, siamo qui per ricordare. Ho accolto molto volentieri l’idea e l’invito del signor sindaco e mi sembra importante offrire il segno della presenza della nostra Chiesa diocesana, una presenza profetica che possa aiutare il risveglio della coscienza di tutti noi, una presenza di fede e di preghiera, una presenza di vicinanza al popolo americano toccato e ferito per la morte di 2978 persone di 72 nazionalità, che ha costretto tutti a rivedere il proprio modo di vivere di tutti i paesi occidentali.
Non a caso quell’evento è stato definito il primo grande spartiacque della storia dopo Auschwitz. Infatti, è cambiato il nostro atteggiamento interiore, è cresciuta la paura, si è avvertita con più forza la pericolosità di ogni forma di fanatismo politico e soprattutto religioso, ha subìto una grave battuta d’arresto il cammino di incontro e di integrazione tra popoli e religioni diverse. In breve, da quel giorno, ciascuno vive con maggiore diffidenza e con una strisciante paura. Ma quell’evento, ci chiama nonostante tutto, a riflettere ancora e a ridimensionare le nostre ansie leggendo la storia dell’umanità alla luce dell’unica Parola capace di giudicare e illuminare, la Parola di Dio.
Un fare memoria il nostro, dunque, che non si limita ad una pur sentita commemorazione del fatto in sé, ma ci vuole suggerire una visione nuova, una presa di coscienza responsabile circa il nostro vivere nel mondo e per il mondo.
A tal proposito ci viene incontro la Parola che abbiamo ascoltato, anzi, potremmo dire che è proprio la “domenica del perdono” che non è una semplice unione di suoni e forme, o solamente un buon insegnamento morale, è molto di più: è la verità di una Persona che ha fatto del perdono il tema centrale del proprio insegnamento, della propria vita e della propria morte. È la follia di una croce che, per quanto abbia scandalizzato e scandalizzi ancora, ha riconciliato, guarito, liberato e salvato. È ciò perché, nonostante la sua gravità: “Il peccato dell’uomo è un pugno di sabbia, la misericordia divina un mare sconfinato” (San Serafino di Sarov). Certo il perdono è innanzitutto atto di Dio, ma praticarlo innalza a Dio, rende divini, trasforma il cuore in cuore regale.
Intuiamo subito quanto sia importante, perfino al di là della fede professata, che la nostra memoria sia riscaldata e vivificata dal perdono. Se ci volgiamo indietro, a considerare la vita nostra o quella dei fratelli o gli avvenimenti della storia, con il cuore ancora inquieto per il rancore e la voglia di vendetta, se consideriamo la giustizia sganciata dalla misericordia, allora né il nostro cuore, né il nostro mondo potranno ritrovare pace. L’invito odierno di Gesù è in direzione opposta: “Quante volte dovrò perdonare al mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?” – chiede Pietro al Maestro. La risposta di Gesù è chiara: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”.
Che significa perdonare sempre e senza misura. Ecco il cuore del cristiano: un cuore la cui larghezza sia, appunto, senza misura, una misura dell’amore che non abbia confini, una disponibilità all’incontro, al dialogo e all’amore fraterno che superi sia le barriere del male e della vendetta sia quelle di una giustizia semplicemente umana che potrebbe diventare spietata. Ma ci chiediamo, anche, perché mai dovremmo vivere questa disponibilità all’amore e al perdono. La parabola di Gesù ci dà la risposta: perché Dio ha fatto e fa cosi con noi. Facciamo memoria di quante volte siamo debitori nei confronti di Dio e dei fratelli, toccati dall’esperienza del limite, della fragilità e dell’errore; e quante volte, in questa situazione, abbiamo avuto bisogno di essere perdonati, guardati con occhi sereni, spogli di ogni pregiudizio, avvicinati con tenerezza, compassione e misericordia.
Dio ci ha spesso accordato questa misericordia e il Suo amore non ci è mancato neppure quando abbiamo sbagliato e ci ha permesso di guarire, rialzarci e riprendere con fiducia il cammino.
Ciascuno di noi, dunque, è chiamato ad assumere questa logica e vivere lo stesso amore verso il prossimo, qualunque esso sia.
Carissimi fratelli, la Parola divina: é esigente, ma anche liberante. In fondo, questa parabola esprime la ristrettezza del nostro cuore e, insieme, la larghezza generosa del cuore di Dio. La nostra è una storia attraversata da molti fatti che rivelano quanto il cuore dell’uomo sia spesso incapace di aprirsi alla fraternità, un cuore che si ferma alla semplice legge umana del taglione “hai sbagliato e devi pagare”, un cuore che fa fatica ad amare. E ogni volta che l’uomo si chiude e si irrigidisce senza lasciare margini al dialogo, alla riconciliazione e all’amore fraterno, allora il male si fa prepotente e riesce a imporsi creando turbamento, disordine e spesso aggiungendo altro male. Così l’armonia della creazione è ferita e si alimentano ostilità e reciproche diffidenze tra i singoli e tra i popoli.
Tuttavia, il Dio che abita la nostra terra è un Dio che col suo perdono continuamente ci soccorre e ci rialza, continuamente indica all’umanità la strada della riconciliazione e la mèta finale della fratellanza universale. Dunque, se anche nella nostra vita avvertiamo il peso del male e assistiamo troppe volte impotenti alla violenza che sconvolge le vite nostre e di tanta gente in tutto il pianeta, non dobbiamo mai scoraggiarci! La lotta tra bene e male è una lotta durissima. Ma da quando il Figlio di Dio ha visitato la nostra storia, la Chiesa non fa altro che proclamare in tutte le latitudini che solo l’amore “move il sole e le altre stelle”. Anche se i nostri occhi non sono capaci di cogliere sempre questa lenta maturazione e liberazione del mondo, le tenebre stanno indietreggiando a causa appunto della forza dell’amore che avanza e il male, alla fine, sarà sconfitto totalmente ed entreremo in un mondo nuovo. Questa è la visione cristiana della storia che ha dato e dà fiducia e speranza a milioni di uomini e donne.
Certo, finché dura questo nostro viaggio terreno, il grano buono e la zizzania convivranno sempre e cresceranno sempre insieme.
Però ciò non significa assolvere dalle loro responsabilità coloro che hanno commesso e commettono il male, perché la misericordia include la conversione, ma non esclude la giustizia e quindi fermare i responsabili di crimini contro l’umanità, onde poter proteggere gli innocenti e i deboli. A noi il compito di seminare, amore, pace, bontà, opere buone, giustizia, perché il male non lo si combatte con l’odio e il perdono non è sinonimo di inazione, indifferenza.
Eppure, ripeto, il Regno dell’amore di Dio sta crescendo: a noi cristiani il compito di estenderlo, rafforzarlo; il compito di far crescere il grano buono senza cedere alla tentazione di strappare con violenza la zizzania, ma lavorando assiduamente a piene mani, ciascuno nel suo piccolo, per seminare l’amore, il perdono e la pace. Così la zizzania, sia pur lentamente, lascerà il posto al buon frumento, cioè ad un mondo nuovo.
Per costruire questo nuovo mondo, dunque, occorre il contributo di tutti e di ciascuno. Permettetemi di dire, perciò, che il nostro stare qui oggi e il nostro fare memoria non vuole essere né un piangerci addosso né tantomeno, cercare di addossare ad altri le responsabilità che potrebbero essere anche nostre. Ciascuno di noi, infatti, è responsabile di un pezzetto di storia, nelle luci e nelle ombre perché, come spesso la Chiesa ci ricorda, ogni seme di egoismo e di male ha delle radici profonde non solo nelle strutture della società, ma principalmente nel cuore dell’uomo. E’ il cuore dell’uomo che deve essere guarito e trasformato perché possa esserci una vera rivoluzione che orienti la storia dei singoli e dei popoli verso un progresso autentico e verso una piena liberazione dell’uomo. A questo proposito, mi sento di dover incoraggiare oltre che l’impegno di ciascuno, il particolare compito al quale chi riveste ruoli politici, amministrativi e istituzionali è chiamato. Mi piace richiamare qui la famosa e pregnante definizione di Paolo VI della politica: “… è la più alta ed esigente forma di carità”. Parole, queste, da associare alle raccomandazioni recenti espresse da Papa Benedetto XVI e dai vescovi italiani circa l’urgenza di ritrovare dignità e senso morale nella missione della politica. Alla politica, in particolare, è affidata l’organizzazione terrena di quelle basi sociali, civili e culturali che possono favorire una crescita di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.
Ciò vale, evidentemente, non solo per le grandi questioni nazionali e internazionali, ma anche per quelle locali. Anche qui, in questa Calabria bellissima, ma ferita, occorre un rinnovato impegno a favore dell’uomo e per la crescita della pace, della giustizia e della fraternità; anche qui occorre che lavoriamo tutti, nelle istituzioni pubbliche e politiche soprattutto, perché si rompa finalmente il muro dell’omertà, della violenza fine a se stessa, dell’indifferenza e delle ingiustizie. Sempre, come cittadini e come cristiani, dobbiamo mantenere sveglia e cauta la nostra vigilanza per fermare le piccole vendette, gli egoismi, i favoritismi e tutto ciò che può inquinare la nostra vita e turbare l’ordine sociale. Tutti, ciascuno nel proprio piccolo, siamo chiamati a lavorare avendo di mira il bene comune, nella trasparenza e nell’attenzione all’altro.
Cari fratelli, a questo compito è la stessa Parola di Dio che ci chiama. I tragici fatti dell’11 settembre 2001, insieme con la scia di sangue, di guerra e di violenza che ne è seguita, non sono né remoti nel tempo né distanti da noi. Anche se avvenuti nell’altro emisfero, essi ci toccano da vicino nella misura in cui ciascuno di noi si alleni e si predisponga ad aprire il cuore come il Vangelo di questa domenica ci chiede. Essi ci chiamano in causa quando nel nostro piccolo non siamo capaci di perdono e di dialogo. Sono dei fatti a partire dai quali la Chiesa ritiene di dover porre un serio interrogativo alla società civile, agli Stati e alla politica, un interrogativo che riguarda la visione sociopolitica delle grandi Nazioni, dell’America, dell’Europa, che non a caso proprio da quell’11 settembre attraversano una crisi profonda che pare non abbia fine. Una crisi non solo economica in senso stretto, ma di modelli di sviluppo, di scelte e della visione della società che questi Stati hanno per decenni difeso e diffuso. E tutti noi, a partire da questa pagina buia che ha mortalmente ferito l’Occidente, dobbiamo chiederci: è possibile proporre come via dello sviluppo mondiale una visione del mondo sganciata dai valori etici, dall’anelito alla solidarietà e alla giustizia, dall’apertura ai valori religiosi? E, più specificamente, può definirsi umana, equa e libera una società che ardisce costruirsi “come se Dio non ci fosse ritenendo l’uomo la misura e la norma di tutte le cose? Domande retoriche, direte voi, ma per tanta, troppa gente purtroppo non è così!
Allora, questi fatti, ci invitano ad essere cristiani con la testa alta e con la schiena dritta: uomini e donne che, per usare una forte espressione del teologo francese Henri de Lubac, non usano la fede come “anestetico” ma, al contrario, si lasciano risvegliare dalla Parola di Dio per divenire attivi cooperatori dello sviluppo del mondo. Uomini e donne capaci di sognare un futuro diverso e di costruire un mondo nuovo.
Tutti possiamo pregare per porre fine alle violenze, digiunare per la pace e la giustizia, imparare meglio la dottrina cattolica sulla guerra e sulla pace, praticare il dialogo interreligioso, dare testimonianza di valori cristiani come il rispetto della vita e la tutela della dignità umana, porsi al servizio dei più bisognosi, essere solidale con chi soffre e sperare sempre nella grazia di Dio. E’ il mondo nuovo che Cristo Gesù è già venuto a portare e ad annunciare e per il quale ci ha offerto il dono della Sua vita: è quel Regno di giustizia e di pace che avanza silenzioso nella storia dell’umanità per condurci verso una nuova alba, verso quel progresso duraturo e non effimero, verso quel porto sicuro del Cielo in cui tutti gli uomini si ameranno come fratelli. Un Regno che fin d’ora ha bisogno di servi e operai capaci di amare e perdonare con lo stesso cuore di Dio.
Il Vangelo è fuoco che arde è potenza di Dio (Rm 1, 16) nonostante la cenere della storia.
Mi avvio a conclusione con uno dei “Pensieri spettinati” (1957) di Stanislaw Jerry Lee: «Le ferite si cicatrizzano, ma le cicatrici crescono assieme a noi» e diventano, possono diventare sapienza di vita, se lo vogliamo. Ecco perché tutti sentiamo la necessità di qualcosa, di Qualcuno che dia orientamento e spessore all’esistenza, e riscatti il valore di una interiorità ricca di virtù come base per costruire una nuova civiltà non sul consumismo che ti soddisfa, ma ti annebbia la mente e la coscienza, ma sulle virtù che ci permettano di camminare verso la vita buona del vangelo. Esse ha scritto Leonardo Boff :«Somigliano alle stelle: noi non le raggiungeremo mai, (i santi, si) ma esse orientano i naviganti e rendono incantevoli le nostri notti”».
Concludo con un pensiero tratto dalla lettera che il Santo ha inviato in una Lettera all'arcivescovo di New York per l'anniversario dell'11 settembre:
"La mia fervida preghiera è che un impegno saldo alla giustizia e ad una cultura globale di solidarietà aiuterà a salvare il mondo dal lutto che così spesso nasce da atti di violenza e che creerà le condizioni per una più grande pace e prosperità, offrendo un futuro più chiaro e sicuro".