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GAZA, 28 FEBBRAIO 2015 - L'arte non è, e non deve essere, fine a sé stessa. Non deve essere solo mera contemplazione: che sia musica, parola, forma o immagine, deve accompagnare ad un'emozione un messaggio. È l'aspirazione massima dell'artista: accendere una luce laddove i riflettori spesso son spenti.
Banksy lo sa bene. Britannico, uno dei maggiori esponenti mondiali della street art, Banksy affida ad ogni suo stencil una missione. E Banksy, stavolta, è volato fin laggiù, nella porzione di terra promessa che sembra dimenticata da Dio, terra di scontro fra Israele e Palestina. Dov'è tutto grigio, colore e sapore di polvere e macerie. Gaza.
[MORE]La guerra ha lasciato, e continua a lasciare, il segno sulla Striscia e sul volto di chi non ha più diritto alla pace, dei bambini che non hanno il diritto ad esser bambini, perchè il sorriso non potrà mai solcare il viso di un bambino sotto i bombardamenti. Banksy, fra le macerie, sulle macerie, ha voluto lasciare il suo messaggio, nella speranza che, una volta per tutti, arrivi nei salotti di chi decide chi può vivere in pace e chi, invece, la pace deve solo sognarla.
Sembra piangere l'uomo di Bomb Damage, il graffito che raffigura un uomo raccolto su sé stesso, forse con la mente pervasa di ciò che lo circonda: tristezza, tanta tristezza. E poi distruzione e disperazione. Sembra essere tanto la vita di chi, sconsolato e senza speranza, vive da anni nel terrore di una guerra senza fine.
E poi, lo stencil della speranza: un alto murales si erge su ciò che resta di un palazzo. Al culmine della torre disegnata da Banksy, dei bambini che si divertono su una giostra. A Gaza non c'è una giostra, la speranza è che un giorno ci sia.
Il terzo, secondo la spiegazione che ci offre lo stesso street artist inglese, è un monito ai cittadini dell'intero mondo occidentale. Anzi, più che un monito è un vero e proprio rimprovero.
Un gattino totalmente bianco e candido sembra giocare con un gomitolo. Laddove un palazzo è stato distrutto dalle bombe, quel gomitolo è una palla di metallo intrecciato. “Un uomo del posto si è avvicinato e mi ha detto: 'Per favore, che significa questo?'. Ho spiegato che volevo evidenziare la distruzione a Gaza pubblicando queste foto sul mio sito, ma il popolo di internet guarda solo immagini di gattini”. Un riferimento, forte e doveroso, all'indifferenza e alla superficialità di coloro che, nell'epoca dei social, passan dritti dinnanzi ad immagini di cotanta sofferenza.
Tutto pubblicato sul suo sito personale, Banksy ha voluto, per una volta, sostituire le parole alle immagini. Sull'ennesimo muro campeggia una scritta rossa. “If we wash our hands of the conflict between the powerful and the powerless, we side with powerful – we don't remain neutral”, recita la frase. Se ci laviamo le mani del conflitto tra i forti e i deboli, ci mettiamo dalla parte dei forti – non siamo neutrali.
Di Banksy non si conosce il nome. E non sappiamo neppure di che colore sono i suoi capelli, come brillano i suoi occhi. Oggi, però, Banksy ha il volto di ognuno degli abitanti di Gaza, ed il loro messaggio è tanto chiaro.
Un messaggio da Gaza. Con amore e speranza.
Salvatore Remorgida
(Ph. www.lantidplomatico.it)