Caffè, intervista al regista Cristiano Bortone: "il coraggio di un film globale"
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Dopo la vetrina al Festival di Venezia nei Venice Days, Caffè di Cristiano Bortone approda nelle sale cinematografiche nostrane, ma il sapore è internazionale. Co-produzione italo-belga-cinese, il film distribuito da Officine Ubu tratteggia tre storie in tre diversi punti del globo: Hamed fugge dall’Iraq al Belgio per trovare una vita migliore, ma s’invischia in un tentativo di farsi giustizia privata al furto di un’amata caffetteria; Renzo, sommelier del caffè sottopagato in un bar di paese, progetta una rapina ad una torrefazione per sbarcare il lunario in seguito alla gravidanza della fidanzata; nel cuore dello Yunnan, regione cinese dalla fiorente produzione di caffè, il giovane manager Fei è chiamato ad occuparsi di un’indagine su incidenti agli impianti, con esiti imprevisti.
Imprevisti anche gli esiti dell’intervista al regista Cristiano Bortone: proprio grazie a Caffè, si è parlato di mondo globale, dei nuovi mercati cinematografici e delle tante sfide che attendono cittadini… e produttori.
ANTONIO MAIORINO: Sotto quale punto di vista Caffè è definibile come un film del nostro tempo, in grado di raccontare il mondo in cui viviamo?
CRISTIANO BORTONE: Mi fa piacere che tu me lo chieda, l’intento del film era proprio questo: c’era la voglia di raccontare un momento storico d’incertezza che ci sta mettendo in discussione. È un film globale, in cui il caffè ha costituito un escamotage affascinante per legare le tematiche che m’interessava affrontare. Ho questa sensazione di un momento di fronte a noi in cui il nuovo millennio ci restituirà un mondo divereso da quello conosciuto finora. La sfida è riuscire a superare indenni queste contraddizioni. Nel film vedi da una parte gli scontri di civiltà tra masse di persone che cercano una vita migliore ed entrano in contatto con una difficoltà di coabitazione; dall’altra parte l’inarrestabile declino del mondo occidentale e della nostra società che ha come conseguenza prima i giovani. Leggevo l’altro giorno di 150.000 persone che hanno lasciato l’Italia nel 2015, una emorragia generazionale.
A.M: Si parla proprio di una neo-emigrazione italiana, con una differenza rispetto al passato: i giovani che partono oggigiorno pare siano più qualificati…
C.B: Questo non crea danni a chi emigra, che va verso situazioni di maggiore soddisfazione, ma paradossalmente il Paese rimane indietro: un corpo malato a cui fa un salasso. Terribile. Nel film, oltre a questo si parla anche dell’emergenza ecologica. Si tratta di una priorità di fronte a cui ci si deve responsabilizzare non solo a parole, qualcosa di cui nella vita quotidiana non ci rendiamo nemmeno conto: uno lotta e combatte, come i personaggi del film, per piccoli obiettivi momentanei, ma la Storia è fatta di tante piccole storie.
A.M: Ci manca la prospettiva su scala “globale”, compresi come siamo nel nostro micromondo. Caffè, tra l’altro, è globale anche in termini di lavorazione, oltre che di significati: hai preteso una troupe tecnica locale per ogni episodio, per ogni paese. Perché?
C.B: Sì, il film racconta tre storie che s’intrecciano ed era necessario dare unità stilistica, ma allo stesso tempo lasciare che ognuno dei tre mondi fosse realistico e vero anche per il pubblico locale, che non fosse finto. A parte la fotografia, tutti i reparti – costumi, scenografia, attori, tecnici – sono del luogo. questo si è tradotto in un’avventura produttiva ambiziosa e lunga. Avere capireparto cinesi o scenografi come quello di Alabama Monroe (n.d. R., Kurt Rigolle; all'estero The Broken Circle Breakdown, candidato belga agli Oscar 2014) è stato appassionante dal punto di vista registico. [MORE]
A.M: In questo amalgama stilistico, il doppiaggio risultato più delicato rispetto ad altri prodotti cinematografici: il fattori linguistico è un elemento chiave del film.
C.B: Purtroppo il mercato italiano impone le forche caudine del doppiaggio, che comunque hanno anche delle regole. In questo film si crea per lo spettatore un codice in cui credere: ad esempio, i personaggi cinesi sono doppiati in italiano, anche se lo spettatore sa che sono cinesi. Nell’episodio belga, il protagonista arabo che si trova in conflitto con i locali fiammighi che lo reputano un immigrato, un extracomunitario che parla male la lingua con accento francese, è stato doppiato in italiano con lieve accento arabo: così all’interno della storia capisci che è “diverso”.
A.M: Dalla lingua, insomma, a volte dipendono fenomeni di stigmatizzazione sociale.
C.B: Assolutamente.
(Cristiano Bortone in un'immagine promozionale del film Caffè)
A.M: Sarà interessante valutare l’impatto di Caffè in Cina, dove, al di là di un importante movimento di cinema autoriale, vanno per la maggiore le commedie commerciali, almeno per il grande pubblico. Che seguito può avere lì un film “diverso” come Caffè? E secondo te, è un film a suo modo diverso anche per il mercato italiano?
C.B: Ogni film è un prototipo. Vero, anche se un film ha spunti ed ispirazioni, è un bambino col suo codice genetico nuovo. Nel panorama italiano è molto singolare, me ne rendo conto e spero venga apprezzato per questo: un film italiano che in maniera particolare ha il coraggio di un respiro più globale. Anche in Cina è singolare, ma non per il problema delle commedie: il mercato cinese si sta sviluppando in maniera così rapida da sorprendere gli stessi operatori locali. Si sta strutturando in tutti i suoi generi. Prima c’era solo il genere di azione e kung fu, poi le commedie sentimentali, adesso si stanno creando nuovi schermi e nuove nicchie. La nuova frontiera sono i film di fantascienza e fantasy ed è arrivato anche il thriller d’autore in stile fratelli Coen, con tanti giovani filmaker che premono per avere spazio. In tutto questo, ci sono già segnali della creazione di una parte di pubblico vicino a film di qualità e d’autore, perché il pubblico cresce e viaggia. In un mercato così ampio di un miliardo e mezzo, anche una piccola porzione ha numeri rilevanti. Spero che Caffè, che è un pilota e non un blockbuster, apra dei sentieri, delle strade. Spero sia un prototipo.
A.M: A fronte di queste considerazioni, secondo te esistono ancora le cosiddette “cinematografie nazionali” oppure, con la diffusione di tante co-produzioni ed un’intensa circuitazione di opere pensate per un mercato sopranazionale, ogni regista è, semplicemente, un cittadino del mondo?
C.B: La risposta è singolare. Credo che siano due rette parallele che s’incontrano ad un certo punto, ma chissà quando. Proprio perché viviamo un mondo globalizzato, continua ad avere anche più importanza la cultura locale. In tantissimi paesi c’è il blockbuster americano ma va fortissimo il film in lingua locale che parla di tradizioni antiche e di fatti locali. Vedi anche in Italia, le commedie, i film di mafia, ora la rinascita del genere e del poliziesco. Così anche in Cina. è un fatto di cultura in generale: in una prospettiva alla Blade Runner, il mondo è sempre più integrato. Molti cominceranno presto a parlare cinese, tra 10 o 20 anni cominceremo ad apprezzare brave attrici cinesi, ci sarà una Nicole Kidman Cinese, sentiremo musica pop cinese. è un fenomeno di lenta integrazione delle culture: ci vorrà del tempo, ma meno di quanto pensiamo. ti do per certo una cosa: il governo cinese ha reso questo una missione, quello che si chiama soft power. Così come gli Americani hanno colonizzato il mondo con jeans, gonne, coca cola, grazie ai film. Due le sfide: primo, la necessità di portare anche noi la nostra cultura e i nostri valori altrove, e questo avviene potentemente attraverso i film; cercare in questa globalizzazione di non perdere la nostra identità. Speriamo di vincerle entrambe.
A.M: Mi risulta che sei al lavoro ad una serie tv di fantascienza in Cina. In Italia, come osservavi, si avverte una ventata favorevole al cinema di genere: i tempi sarebbero maturi per progetti di questo tipo?
C.B: Potrebbe, ma è un problema di budget: il nostro pubblico è limitato, nel senso che non c’è una massa critica, a meno che non la crei con talenti italiani in progetti di respiro internazionale. Fare un film di fantascienza italiano? Possibile, perché no, ma è difficile trovare risorse economiche. il vantaggio con la Cina è che con quella massa critica gigantesca, questi esperimenti sono possibili. La Cina è una nuova America, ecco perché mi sono rivolto lì. Ed anche lì, comunque, si tratta di un prototipo: cerco sempre delle cose difficili!
DATA USCITA: 13 ottobre 2016
GENERE: Drammatico
REGIA E SCENEGGIATURA: Cristiano Bortone
CAST: Ennio Fantastichini, Miriam Dalmazio, Dario Aita, Michael Schermi, Hichem Yacoubi
SCENEGGIATURA: Cristiano Bortone
FOTOGRAFIA: Vladan Radovic
DISTRIBUZIONE: Officine UBU
PAESE: Belgio, Italia, Cina
DURATA: 112 Min
(nell'immagine principale: dettaglio di fotogramma di Caffè, fonte: ufficio stampa Echogroup)
Antonio Maiorino