Botti di Capodanno, una tradizione fraintesa che provoca troppe tragedie e pochi colpevoli
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BOLOGNA, 1 GENNAIO 2015 - Quest’anno c’è proprio da essere contenti: neanche un morto, 215 feriti (51 dei quali nel Napoletano e 71 in tutta la Campania), dei quali “solo” 12 gravi fra cui un bimbo di 10 anni e un ragazzino di 14. Quasi quasi da cantar vittoria, il bilancio del Viminale che come di consueto arriva agli organi di comunicazione l’1 gennaio. Bene, il “bollettino di guerra” dei botti di Capodanno può alzare il sipario sul 2015 annunciando un calo dei feriti del 30% circa (a Capodanno 2014 erano 361) e un calo anche delle persone finite in ospedale per una pallottola vagante.[MORE]
Bene? Neanche per idea. Se un accreditato Nostradamus annunciasse che in una città X, la notte successiva 50 persone verrebbero ferite da un pazzo in giro per le strade armato di razzi e pistola, si scatenerebbe il panico. Ecco, non c’è bisogno di Nostradamus per sapere che, la notte di Capodanno, di irresponsabili criminali - perché chi provoca dolosamente danni fisici ad altri, altro non è che un criminale - le strade si riempiono e in ben più di una città italiana. Parliamo di crimini dolosi e non colposi, ben sapendo la differenza fra una fattispecie e l’altra: non si può che parlare di intento doloso, infatti, di fronte ad adulti che maneggiano esplosivi (perché di questo si tratta) lanciandoli in mezzo alla folla, li lasciano incustoditi o addirittura li accendono di fianco ai bambini, spesso ai loro figli.
Anche quest’anno si sono moltiplicati gli appelli per far cessare la pericolosa usanza dei botti. Secondo i dati del Viminale, a qualcosa sono serviti, in effetti. Ma non sono stati sufficienti: basta dare un’occhiata ai social network per rendersi conto di quante voci si sono alzate ancora una volta a difendere una tradizione “tutta nostra”, dunque da salvaguardare. Neanche si trattasse del Presepe o del Crocefisso nelle scuole. Chi dice no ai botti è un intollerante disattento alle proprie radici: questa la sintesi dei contro-appelli.
Andiamo a vedere la tradizione, allora. Spiegava l’antropologo Marino Niola in un’intervista rilasciata il 31 dicembre 2011 al quotidiano online Lettera43: “Celebrare le fasi di passaggio, come l’inizio di una nuova stagione o la fine di un anno, con il fuoco e il rumore, è un’usanza antica e transculturale”. Il fuoco brucia i residui cattivi dell’anno che finisce e rischiara il cammino di quello che verrà, mentre il rumore spaventa e allontana le energie negative. Ma oggi, aggiungeva l’antropologo, il rito non è più collettivo: “Si è privatizzato: ognuno lo fa a casa propria”. Non solo: “Ci sono civiltà e culture che per celebrare la fine dell’anno o l’inizio di una nuova stagione scelgono il silenzio totale. L’idea è che solo il silenzio sia all’altezza della grandiosità del momento”.
Si potrebbe allora arrivare a concludere che in una civiltà come la nostra, dove il rumore ci invade 365 giorni su 365, un momento di silenzio per salutare il nuovo anno non sarebbe poi così male. Non solo ci farebbe riflettere, ma eviterebbe anche a tanti bambini nati perfettamente sani di diventare adulti portatori di gravi handicap. Tutto perché qualcuno, solo anagraficamente più adulto, voleva partecipare a uno stupido e colpevole fraintendimento della tradizione. Già nel 1951 Theodor Adorno invitava ai “Minima moralia”, alle meditazioni sulla vita offesa: quei 251 feriti ci confermano che non abbiamo ancora meditato abbastanza.
Paola Bergonzoni