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Scotch Whisky. La nazionalità e l’effetto alcolico dello scrivere è tipicamente scozzese. Uno scalpellio nevrotico della mente umana, scavare nella psiche alla quale il primo attore soggioga circondato da inutili forme di creta passionali: esseri umani. Il continuo vagabondare di vita alla ricerca dell’ appartenenza.
Freddo snob. Monte Bianco. Jack McCall è un tuttofare scozzese che si destreggia in qualsiasi tipo di situazione, passando tranquillamente da una saldatura in stagno, a un bicchiere di Bollinger con caviale in attico, ascoltando il meglio di Mick Jagger che ribella sane e sessuali passioni alta classe come custode per impinguare le tasche con qualche facile spicciolo, [MORE]comporta i suoi sporchi sacrifici d’altronde. Compagna di viaggio la donna della vita, colei che da un sussurro di fiato psicoanalizza il pensiero percependo se esso sfiora anche l’idea di districare una caccola dal naso.
“Se ami me ami il mio analista”.
Folle pacato scozzese libertino Vs dolce psicopatica scopatrice d’alto rango. Connubio perfetto. Freddo snob. Un cadavere improvviso nell’unica stanza fittata e la sua ferrari sommersa dalla tempesta di neve. Thérèse, giovane accompagnatrice dell’uomo, impaurita a morte dall’accaduto è una parigina dall’ inglese alquanto goffo. Una figlia d’accudire per l’analitica compagna di Jack. Primi segnali di stalagmiti ghiacciati formanti un cancello invalicabile, che offrono un piatto succulento dal quale attingere voracemente. Così il caldo polveroso e rurale spagnolo, risulta un’ottima cura al freddo. La neve imprigiona, atrofizzando la ricerca della libertà d’animo; l’afa e il sudore della pelle risvegliano i bollori di un ventinovenne alla ricerca della continuità del quieto vivere.
“Svariati fichi dopo, maturi e violacei, chiusi gl’occhi e lasciai che i suoni degli insetti e degli uccelli intorno a me mi penetrassero dentro. Il calore del sole sembrava spandersi e allagarsi sopra di noi strato dopo strato. Di nuovo sentii quell’avvolgente e suntuoso senso d’appartenenza.”
Se la ricerca fosse inutile? Correre affannosamente verso l’appartenenza potrebbe rilevarsi un momentaneo pizzico di zanzara quasi soddisfacente da grattare, ma pur sempre velenoso e fastidioso... In fondo uno psicopatico amore potrebbe rivelarsi…
Ron Butlin cerca con fervore la soluzione ad una ragnatela di ragionamenti della psiche, portandoci con mano e affondo sulla libertà di scelta che quando si manifesta con fermezza nello spirito, induce a pericolosi stati di allontanamento dalla realtà, che improvvisamente diviene riflessa. La scrittura è profonda, analitica come i personaggi, caratterizzata da alcuni momenti fin troppo lenti, che quasi tendono a rallentare la sfiziosa voglia di ricostruire il puzzle vitale del protagonista. Le righe sono luminosamente grigie, segnate dalla certezza che la ricerca della felice libertà non sempre si rivela un successo apocalittico. Anzi. Jack è un ragazzo cresciuto con iniezioni di fiducia di un talento pianistico, chissà mai se vero o solamente idealizzato, imbrigliato da un’autoconvinzione della magnificenza musicale. Questa ferma convinzione è solo quell’appartenenza che si dissolve quando viene meno l’icona guida del suo essere eccelso: il padre. Da lì la velleitaria sensazione d’infusa libertà, lo scavare e cogliere i frutti più dolci dell’esperienze, inzuppando i piedi in quelli marci che rallentano il passo verso la riappacificazione.
In tre righe: scotch whisky da sorseggiare lentamente fino a raggiungere l’ebbro.