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Padova, 18 maggio - Associazione a delinquere finalizzata all'utilizzo continuato di mezzi di pagamento contraffatti: è questo il reato per il quale sono finite in carcere tre persone accusate di far parte di un'organizzazione dedita alla clonazione di carte di credito. Una quarta, un romeno, è irreperibile.[MORE]
Secondo gli accertamenti, il meccanismo della frode era congegnato in modo che sulle bande magnetiche delle tessere fedeltà di alcuni ipermercati e catene della grande distribuzione venissero trasferite - grazie a un apparecchio digitale detto "skimmer" - le credenziali di carte di credito emesse negli Stati Uniti. I quattro, tessere alla mano, andavano poi da negozianti complici (dotati di POS e abilitati al circuito VISA/Mastercard) ed effettuavano varie strisciate, facendo figurare compravendite per importi di diverse centinaia di euro. Una volta andata a buon fine la transazione, il commerciante liquidava al gruppo una quota oscillante tra il 40 e il 60% della cifra messa a display, trattenendo la parte rimanente a titolo di indennizzo per aver prestato la sua collaborazione.
Alcune centinaia i numeri di carta di credito clonati, quasi tutti riconducibili a mezzi di pagamento elettronici emessi dalla Capital One Bank di Richmond, in Virginia (USA) e dalla Chase Bank, anch'essa statunitense, branca del gruppo finanziario JP Morgan. I destinatari delle ordinanze di custodia cautelare in carcere, firmate dal gip Paola Cameran su richiesta del pm Benedetto Roberti, sono: C.M., di 39 anni, residente a Camponogara e già in regime di detenzione da febbraio (ritenuto il dominus dell'organizzazione); A.M., 28enne residente ad Albignasego; L.N., 43enne militare dell'Arma, residente a Candiana e, infine, il romeno I.N.R., di 32 anni, residente a Bologna, irreperibile.
Sono stati denunciati a piede libero due trevigiani, residenti a San Zenone degli Ezzelini e Silea. I codici e le coordinate di carte autentiche, una volta piratati, seguivano la rotta dell'Est: venivano introdotti in Italia grazie a un secondo romeno e da un russo. Grazie allo skimmer, recuperato dai finanzieri del nucleo di polizia tributaria nel pozzetto del giardino condominiale di casa sua a Camponogara, A.M. riusciva poi a imprimere sulla banda magnetica di tessere fedeltà Ikea o di vecchi bancomat scaduti nuove identità elettroniche e contabili. Il business della "strisciata selvaggia" non era, comunque, l'unico espediente fuorilegge: a dicembre 2010, L.N. e A.M. avevano dato vita alla AN.GI. Sas, con sede a casa di A.M. ad Albignasego e C.M. in qualità di socio occulto. Scopo della società era quello di fornire fatture false a tutte le aziende che avessero voluto abbattere fittiziamente il reddito d'impresa con costi fasulli. Il compenso chiesto dai tre per confezionare tali artifizi documentali, utili ai fini di una frode fiscale poi perpetrata dall'eventuale acquirente, era pari al 20% (in pratica l'IVA) piu' il 10% sul corrispettivo totale di ogni singola fattura.