Trasformare uno scontro in intesa sociale
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Seguici anche su Facebook Troppa Terra e Poco Cielo justify;">La reazione del mondo dinanzi ad una ostilità sociale, grande o piccola che sia, è infatti più volte di passività o di contrasto fine a sé stesso. “Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo” (Evangelii gaudium, 227). Oggi è divenuto vitale muoversi in questa ultima direzione e per farlo è indispensabile che si possano intrecciare tra di loro alcuni pilastri globali dell’esistenza umana, quali la responsabilità, l’amore e l’obbedienza. Il viaggio in Colombia di qualche mese addietro del Pontefice ha proprio tracciato questo messaggio forte per una più efficace strada di pace per gli abitanti di quella nazione e di riflesso per la terra intera.[MORE]
Ogni qualvolta che una comunità sbanda o in un luogo di lavoro e di coabitazione sociale, compresa la famiglia, si inseriscono inquietudini e immoralità, si osserva come siano venuti meno i valori cristiani. Eppure ogni uomo di fede dovrebbe tutelarli e qualunque ministro del Signore rilanciarli fino al sacrificio! Tutto questo succede quando la responsabilità personale, l’amore profuso e l’obbedienza alla Parola si trasformano in aspetti secondari del proprio modo di esistere. Un uomo del Signore deve perciò con costanza coniugare ovunque e in modo permanente amore e obbedienza. Non si può lasciare il popolo senza Parola. Chi si muove in questa direzione, pur avendo il compito di sollecitare il vangelo nei cuori, commette “un crimine spirituale” e spegne quell’amore verso il prossimo che solo l’obbedienza al Signore può dare.
La scelta della fede è sempre del singolo, ma chiunque ha il diritto di essere messo nelle condizioni di conoscere la strada che salva e redime. Mosè, scendendo dal monte e vedendo il popolo immerso nella idolatria, disse ad Aronne: “Che ti ha fatto questo popolo, perché tu l’abbia gravato di un peccato così grande?” (Es. 32,21). Il male quindi più grande che si possa fare ad una comunità è lasciarla alla sua deriva, privandola dal senso alto della verità rivelata. Il ricordo della Parola mette ognuno al riparo da quelle azioni che trasfigurano l’armonia terrena nella sua struttura fisica, sociale e spirituale. I guai odierni ambientali, morali, comportamentali, non sono forse il frutto di un rifiuto di ascolto della Parola? Se si pensa poi ai disastri climatici e agli incendi dolosi, non emerge forse un modello individuale e collettivo di egoismo e disprezzo sociale? Obbedire alla Parola di Dio e osservare le sue leggi consente di non stare dalla parte di coloro che partecipano alle proprie rovine quotidiane e a quelle collegiali. Si attrae invece l’altro verso buone pratiche e il bene comune.
Quest’ultimo passaggio è vitale per il singolo che ha compreso come la sua obbedienza agli indirizzi eterni del Creatore sia una grande virtù. Una vera esperienza ontologica che va trasmessa e testimoniata all’interno dei propri spazi quotidiani e di ogni articolazione pubblica, deputata ad organizzare la vita sociale, politica e etica dei suoi componenti. Non è facile farlo, ma per lasciare un segno nell’altro è necessario parlare con gesti concreti e scelte chiare che siano il riflesso tangibile del proprio modo di professare il senso autentico della fede mostrata. Portare nella Parola chi è fuori dal vangelo significa volergli veramente bene, aiutandolo a liberarsi dei labirinti delle tante illusioni quotidiane. Non è questo di certo un merito, ma un servizio dovuto alla composizione corretta di una comunità; passo necessario per trasformare un qualsiasi scontro in intesa sociale.
Egidio Chiarella
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