L’uomo ha perso la coscienza del peccato
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Il cristiano vero non può non capire come il peccato sia il risultato di una vita personale vissuta al di fuori dei confini del vangelo. All’inizio sembra tutto normale! Più in là qualcuno realmente pentito chiederà per quello che ha fatto l’assoluzione di un sacerdote; altri ripareranno da soli utilizzando le proprie misure e filosofie, nonché le rinfuse riflessioni serali. Ci sarà chi tuttavia, evitando del tutto la coscienza, si costruirà un manuale interiore spogliando le violazioni dal loro significato principale. Una bancarotta ormai quotidiana che raggiunge l’intera umanità e annulla la coscienza del peccato.
Non basta chiudere gli occhi per difendersi dai riverberi degli errori compiuti, ma rientrare nel vivo della Parola riconoscendo quanto sia proprio il peccato a creare fallimenti a raffica, non sempre facili da ridimensionare o svilire. L’uomo stranamente vive la sua vita al contrario di come la verità biblica ne amplifichi il messaggio. Tradisce, si sottrae all’altro, esalta la menzogna, pratica le scorciatoie, fa finta di non vedere, imbroglia con naturalezza, umilia il prossimo, trucca l’esterno, lascia pian piano deteriorarsi l’interno, spegne il senso alto della propria essenza.
Gli effetti sono potenti in negativo e sono capaci di far precipitare ogni equilibrio raggiunto. Eppure a parole tutto va nella direzione giusta. C’è intanto in piedi una società addormentata, coperta da un manto mieloso che addolcisce ogni condizione amara. Una autentica ipnosi sociale che prende il sopravvento su ogni cosa e che rimanda la mente collettiva indietro nel tempo a cercare tutto ciò che non serve al presente. Ci si trova di fronte ad una suggestione pubblica che copre di riflesso le arroganze e le azioni sociali, politiche ed economiche che definiscono il futuro di una comunità. Tutto si uniforma e si massifica. Il cristiano sta dentro questa realtà offuscata e ne assorbe le finte qualità senza alcuna reazione.
Il peccato va per la sua strada e si allontana dalla coscienza, coordinando prospettive e nuove attenzioni in un modo del tutto bugiardo. Fondamenta instabili, mura domestiche pericolanti, tetti lesionati. Prima o poi il disastro farà la sua perfida apparizione. È tempo di reagire, di non arrivare dopo, di ben governare i processi che tengono in piedi l’esistenza umana. Sugli effetti del peccato non si possono ignorare i tanti appunti teologici che da sempre chiariscono la Parola del Signore per salvare gli uomini. Eppure quanto è difficile oggi farli ascoltare, studiare, leggere in profondità, prenderli in seria considerazione!
Si tratta di “boccole” spirituali che potrebbero salvare una vita o illuminare una strada immersa nelle tenebre. In teologia non si bleffa, se c’è nel cuore il Signore. Si legge in una interessante nota teologica: “Il peccato crea un fallimento di morte che genera morte e di conseguenza infiniti fallimenti. La prima donna ha fallito la sua vita. Divenne causa di fallimento anche del primo uomo. Quale è stata la conseguenza di questo fallimento? La morte spirituale, morale, fisica è entrata nel mondo e durerà per l’eternità, se la morte nel tempo si riverserà nell’eternità”.
Oltre all’errore letale di Eva la riflessione teologica associa l’atteggiamento peccaminoso di Davide, nonostante i suoi dialoghi con il Signore, quale sua discepolo nella verità celeste. Vince alla fine in lui il demonio a tal punto di far sgretolare quei muri portanti di qualità che era riuscito a costruire nel suo animo, per supportare il Verbo di Dio in ogni istante della sua vita. La debolezza però fu in grado di prendere il sopravvento. In proposito si legge:
“Davide commette un grave peccato di adulterio. Non toglie dalla sua coscienza il peccato confessandolo al Signore e chiedendo umilmente perdono. Perché il suo peccato non venga alla luce, lo sotterra nella sua coscienza uccidendo il marito della donna con la quale aveva peccato. Non solo uccide il marito in modo subdolo e astuto, con il marito della donna molti altri uomini sono morti. Come prende coscienza del peccato? Attraverso il profeta Natan, mandato a lui dal Signore perché gli sveli tutta la malizia e gravità della sua colpa e le conseguenze che essa produrrà”.
Prendere coscienza del peccato è oggi una priorità che viene prima di altra cosa. I disastri personali che portano l’uomo al suo fallimento non solo agiscono su sé stessi con violenza e crudeltà, ma mettono in discussione l’impianto sociale di una qualsiasi collettività. C’è bisogno allora di punti di riferimento affidabili per poter sedare questo virus interiore che si riflette all’esterno con la stessa forza con la quale colpisce il singolo.
Chi dovrebbe avere l’energia di correggere coloro che cadono nel peccato? Dice il teologo: “Nella Chiesa chi deve condurre l’uomo perché prenda coscienza del peccato e della sua forza distruttrice è il ministro di Cristo, ministro dello Spirito Santo, ministro del Padre. Se il ministro perde lui la coscienza del peccato per il popolo di Dio è il disastro non solo spirituale, ma anche fisico e materiale, sociale e politico, economico. Senza la coscienza del peccato è il disastro antropologico”.
Parole chiare che hanno il diritto ad essere considerate a qualsiasi livello istituzionale. Non è di certo in atto una invasione della religione nell’apparato laico vigente, semmai un contributo di sostanza che alza l’arte di governo oltre i confini secolari. Significa infatti qualificare il mondo, renderlo più luminoso, più padrone di quei sintomi sapienziali che possono stravolgere in positivo l’esistenza umana. Non a caso Gesù ( Mt, 23) arringava scribi e farisei per non impoverire il valore della giustizia sociale, base vitale delle relazioni che si intrecciano in una comunità qualsiasi.
“Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato”. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro?”. Il Messia continuava ad incalzare i capi religiosi dall’alto della sua autorevolezza, mentre il popolo lo ammirava per quel paternale che mai nessuno prima di allora si era permesso di rivolgere agli stessi padroni del Tempio: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’aneto e sul cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle”.
Gesù chiudeva con parole pesanti evidenziando una debolezza collettiva e istituzionale che proveniva dal conformismo della classe dirigente di quel tempo. “Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità”. Con i peccati non si scherza sia che appartengano ai ricchi che ai poveri. Il peccato non pretende una scala sociale. Rimane tale.
Qual è perciò il comportamento con il quale approcciarsi? Risponde il teologo nella speranza che si faccia tesoro fino in fondo delle sue parole: “Ognuno deve riconoscere i suoi peccati, detestarli, liberarsi da essi, chiedendo umilmente perdono, promettere al Signore di non più peccare. Il male rimane male”. Recuperare la coscienza del peccato sarebbe di conseguenza per le tante società in disfacimento sociale e finanziario l’atto più liberante e redimente che l’uomo oggi possa fare. Il tempo è propizio. Auguri di cuore!
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