"The Bay" di Barry Levinson, il virus dello sguardo in acque sporche
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"The Bay" di Barry Levinson, il virus dello sguardo in acque sporche

giovedì 6 giugno, 2013

The Bay di Barry Levinson, la recensione. È proprio vero che negli anni duemila bisogna essere dei buoni Skyper, utenti di Skype, per essere anche buoni skipper dell’informazione, riuscendo a non annegare nelle acque inquinate dell’informazione. Sporche almeno quanto quelle di Chesapeake Bay, spiega – proprio via Skype – una giovane giornalista, intervistata dal sito Govleaks per riportare a galla, tra lost footages e testimonianza diretta, l’American horror story di quel 4 luglio a Claridge, Maryland, rovinato da alcuni ospiti non invitati: quei parassiti di mare trasformati da esserini innocui in scarafaggetti divoratori dal doping micidiale di inquinanti vari, letame di pollo, residui radioattivi. L’acqua è buona – assicura il sindaco, che l’ha pure fatta desalinizzare. Ma tant’è: vedi la gara di mangiatori di crostacei rovinata da vomito a catena, donne a bambini che deambulano come zombie dalla pelle disfatta, ambulatori nel panico con dottori costretti ad amputazioni. O meglio: non vedi. Perché il governo aveva messo tutto a tacere.[MORE]

L'ECO CHE BRUCIA GLI OCCHI - The Bay di Barry Levinson è un mockumentary con la serietà di un ibrido tra Report e Superquark in versione horror sci-fi, e la visceralità raccapricciante di un b-movie, un Piranha o uno Slither ma corrosivo come i denti di un parassita ipersviluppato. Una corrosività fisica, tangibile, che si afferma innanzitutto dal punto di vista visivo, come di acidi gastrici dentro addomi rigonfi: le micro-camere infilate nel ventre dei pesci dai due biologi del Cousteau Institute sanno di gastroscopia dell’orrore dagli occhi di un insider – dentro la verità. Così come, ancora, i primi piani sulle epidermidi straziate da fistole e bolle hanno la spaventosa imperturbabilità uno screening diagnostico, ma di quelli che non vorremmo mai vedere.

Il senso della vista viene irritato costantemente per produrre un blob di denuncia, che smonta e rimonta le immagini per fare dell’eco-horror un echo-horror, cioè un film dell’orrore capace di dare risonanza alla viralità delle informazioni visive come antidoto alla censura ed alle verità sommerse. Proprio per questa ragione, l’eco visiva del formato verità si avvale dei più svariati supporti della visione moderna: dalle telecamere della polizia, forze dell’ordine in preda al disordine che rastrellano i morenti a revolverate, alla video-chiamata di Skype, che fa da cornice all’intervista\confessione della giovane reporter; fino, naturalmente, alle immancabili fotocamere e agli ancor più diffusi cellulari. E' un incubo così ragionato, una paura così strutturata, che le stesse sequenze sono montate secondo una strategia della ridondanza, per cui il montaggio del finto documentario ripropone a più riprese alcune scene a distanza di tempo, affinchè, ricontestualizzate nella storia che avanza, acquistino un senso diverso: Miss Crostaceo alla fiera di paese, prima formosa e poi sformata, in poltiglia; il blogger che di note faceva trekking d’inchiesta tra le montagne di merda del pollame, a due passi dalla baia; il sindaco che tracanna, senza colpo ferire, l’acqua contaminata, assicurando che sia the best darn water. Darn, appunto: maledetta.

PARASITE ACTIVITY - Su questa superficie da reportage, increspata dall’affiorare dei pesci morti come fossero verità torbide venute a galla nello stesso modo del letame, certe urticazioni emotive proprie dell’horror si propagano con la repentinità di un rush o di una mutazione genetica, o generica (cioè di genere), con i classici sussulti nel buio alla Paranormal Activity (i produttori sono gli stessi): dal sedile posteriore dell’auto, in cui una giovane donna si appresta a fuggire col bimbo, spunta una malata putrescente, che supplica con l’aggressività di un morto vivente; dal pesce esaminato dal biologo marino sgattaiola un parassita marino, con la rapidità strisciante di uno dei tanti mostri di The Mist; la giovane reporter si avvicina circospetta ad un macchia di sangue, sudando freddo, e poi sudando sangue, ma è solo lo sgocciolamento di un corpo straziato dal pontile soprastante, emerso con la rapidità di uno zombie veloce. Serve aver paura, per capire; e guardare per aver paura: nella baia dello shock s’immettono, convergendo, gli affluenti dell’horror e della trama sociologica della comunicazione, col mockumentary a costituirsi quale cornice perfetta per supportare l’appello alla ricerca di un timone critico nel mare inquinato dell’informazione.

APOCALYSPE NOW, MA SOLO DEI CORPI - Govleaks, dunque, non è un website, ma un parasite, un parassita benigno, rispetto all’informazione di Sistema. La vera viralità non è quella che si liquida con un intruglio di cloro, ossia quella del Cymothoa exigua che infesta la baia, quanto quella dello sguardo, capace di sopravvivere all’Apocalisse della cecità. La maggior parte dei protagonisti delle riprese, infatti, sono già morti: come il cameraman della giovane reporter. Eppure, la loro voce sopravvive attraverso la visione, come se i mezzi di ripresa fossero organi più resistenti. L’immagine più eloquente è quella della videocamera dei due ragazzini dispersi nella baia: trovata in acqua, a quell’acqua mortale ha resistito meglio dei corpi putrescenti dei bagnanti attaccati dalle larve. Può anche succedere, allora, che un dottore si ritrovi in un ospedale evacuato in mezzo a corpi amputati, abbandonato da tutti, in una scena avvilente e più sottilmente terrificante di uno splatter a pelle: la sua cute si sta già disintegrando, ma resta ancora un aggeggio per filmare, per evitare che alle tante amputazioni taciute si aggiunga l’asporto dei cervelli, previo asporto dei bulbi oculari.

Con The Bay, Barry Levinson s’immerge in una finta apocalisse, le sue Cronache dei morti viventi, raccontando di disintegrati ed integrati, ossia di morti e sopravvissuti, con la fisicità dei corpi lesionati dalle pustole e delle immagini fatte sopravvivere da chi, integrato criticamente nella società tecnologica, riesce a salvare lo sguardo, al di là delle acque torbide della censura.

Titolo originale: id.
Regia: Barry Levinson
Interpreti: Kristen Connolly, Christopher Denham, Kether Donohue, Michael Beasly, Kimberly Campbell, Carrie Kroll
Distribuzione: M2 Pictures
Durata: 84’
Origine: USA, 2012


Antonio Maiorino 
Critico d'arte e di cinema - follow on Twitter


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