SPECIALE CHAPLIN: Luci della città, luci degli occhi
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NAPOLI, 16 APRILE – A poca distanza temporale dall’avvento del fonofilm, l’allora quarantaduenne Charlie Chaplin faceva il gran rifiuto. Per lui la parola, volendo usare un’espressione di Morandini, avrebbe finito con lo sporcare l’arte, pura e antica, della pantomima. Per tal motivo decise di girare il suo Luci della Città come una pellicola muta classicamente accompagnata da musica. La storia ci ha dimostrato che non aveva torto. [MORE]
Una scelta del genere determinava un forte spirito di coerenza. A Charles non mancava. Basta ammirare soltanto alcune delle sequenze – le più celebri – di City of Lights per convincersene. Il tentato suicidio del milionario, per esempio, fluire di gesti e movenze che rasenta la perfezione, nei tempi e negli spazi. Ma lo sfortunato vagabondo con la bombetta non era solo marionetta sentimentale, funambolo dall’incredibile destrezza e dal cuore d’oro. La linfa della poesia non scorreva esclusivamente nei suoi quattro arti. Né nell’insuperabile complementarietà dei suoi interpreti-spalla.
Prendiamo un’altra sequenza del film, la più nota – indimenticata, indimenticabile. Il finale, l’incontro con la fioraia cieca che, grazie alle cure del giovane straccione, è tornata a vedere. E’ uno dei momenti di più alta e intangibile poesia dell’intera storia del cinema. E non è altro che un gioco di sguardi, che uno scambio di occhiate. Eppure, in ognuno di essi è celato un discorso. Un racconto meraviglioso che qualsiasi tipo di forma o tentativo verbale avrebbe svilito.
Il fremito di lui quando la scorge all’angolo della strada. Il sorriso leggero di lei che si spegne non appena sfiora le sue mani, unico mezzo di riconoscimento durante la cecità. Poi stelle di luce, nostalgia, dolore, felicità, rassegnazione e altri milioni di sentimenti sbocciano lungo le iridi di entrambi. Passato, presente e futuro convivono per un istante, un punto. Non solo nel tempo del film, né soltanto in quello della trama, ma in tutti i tempi di tutti gli uomini. E ci si ferma qui, perché parlare è un po’ dissacrare. Basta dire “Sì, ora vedo”.
FRANCESCA FICHERA