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La metodica dello stretching permette di migliorare un’importante capacità motoria, la mobilità articolare. Senza una sufficiente capacità di allungamento e, pertanto, di rilassamento della muscolatura, è difficile che si possa eseguire un movimento in modo coordinato.
Ma stiracchiarsi non è d'altronde il gesto più naturale ed inconsapevole che compiamo non appena svegli?
Non sembra quasi che sia il corpo a chiedercelo?
Quell'allungamento altro non è che un leggero stretching. Di fatto serve a dare una spinta all'afflusso di sangue ai muscoli e al cervello, a mitigare la rigidità muscolare e favorire il risveglio e la consapevolezza del proprio corpo.
Il nostro corpo, se non sollecitato ed esercitato, è costretto con il trascorrere del tempo, a movimenti sempre meno sciolti ed ampi, a stanchezza più repentina e all'impiego di maggiore sforzo in tutte le attività quotidiane. La minore elasticità muscolare, la ridotta capacità di coordinazione, il calo di energia, l'usura delle articolazioni, predispongono infatti il fisico ad un invecchiamento più veloce.
Lo stretching, coinvolgendo muscoli, tendini, ossa e articolazioni, favorisce un miglioramento globale della capacità di movimento. Ma anche una migliore lubrificazione articolare contrastando così l'invecchiamento della cartilagine. Di fatto lo stretching mantiene "giovani" le articolazioni, rallentando la calcificazione del tessuto connettivo. Gli esercizi di stretching sono praticati attraverso diverse modalità, soprattutto dettate dal grado d’allenamento dell’atleta a cui vengono proposti, nonché dalla specificità della disciplina sportiva praticata.
Ma quante tipologie di stretching esistono?
Stretching statico: Le tecniche di stretching statico, talvolta erroneamente confuse con quelle di stretching passivo, sono basate sul raggiungimento ed il mantenimento, per un certo lasso di tempo, della massima posizione di allungamento possibile da parte del soggetto.
Stretching passivo: Nello stretching passivo, il soggetto è completamente rilassato e non partecipa attivamente al raggiungimento dei diversi gradi del ROM, che invece sono raggiunti grazie all’applicazione di forze esterne create manualmente, come nel caso d’aiuto da parte di un terapista o di un compagno, oppure meccanicamente, grazie ad una strumentazione specifica.
Stretching balistico: Lo stretching balistico prevede una tecnica esecutiva di tipo ritmico e “rimbalzante”, il cui scopo è quello di forzare il movimento stesso verso i limiti massimi del ROM. Questa metodologia di allungamento è la più criticata, vista la sua potenziale pericolosità in termini di possibili danni muscolari provocabili.
Stretching PNF (Propioceptive Neuromuscolar Facilitation): è un metodo con cui si induce il rilasciamento muscolare tramite una stimolazione programmata e selettiva dei propriocettori generali. Nello specifico, si basa sulla facilitazione degli effetti inibitori regolati dai fusi neuromuscolari e dagli organi del Golgi nei confronti del sistema muscolo-tendineo.
Con lo stretching si ottiene una diminuzione della tensione muscolare e della frequenza cardiaca: in una parola, ci si rilassa. L’importante è assumere posture confortevoli, in cui respirare in maniera naturale. Proprio la buona ossigenazione ripristinerà l'equilibrio delle funzioni fisiologiche e del tono muscolare, e quindi, attenuerà ogni stato di tensione nel corpo. Se utilizzato correttamente, aiuta a migliorare la postura, permettendo di mantenerla nel tempo.
Quando eseguirlo?
Ci sono molte teorie a riguardo, quelle più attendibili affermano che, il lavoro andrebbe realizzato sia prima dell’allenamento/performance (alla fine di un buon lavoro di riscaldamento), sia al termine dell’allenamento/performance.
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Dott. Gianmaria Celia e Dott.ssa Marta Doria