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TRAPANI, 3 MARZO 2012 – «Durante il periodo del finto sequestro Sindona, Licio Gelli venne a Palermo e per un giorno intero sparì, non si seppe dove andò, il professor Barresi mi disse poi che Gelli era andato a Trapani ad incontrare i fratelli trapanesi». È iniziata con il “carico da novanta” la nuova udienza del processo volto a stabilire la verità sull'omicidio di Mauro Rostagno, ucciso a Valderice il 26 settembre 1988 dalla mafia trapanese.
Sul banco dei testimoni, questa volta, Angelo Siino, ministro dei lavori pubblici di Totò Riina ed inventore del cosiddetto tavolino con cui Cosa Nostra si spartiva gli appalti nell'isola durante gli anni Novanta ed oggi diventato collaboratore di giustizia. Forse solo un personaggio con il suo curriculum poteva permettersi, di fatto, di dare una sostanziale svolta al processo, dando – come scrive Rino Giacalone su Malitalia - «per la prima volta un riscontro concreto su un preciso “danno” che Rostagno aveva prodotto alle connessioni più pericolose esistenti nel trapanese, quelle tra mafia e massoneria, i cosiddetti, veri, “poteri forti”».
Fino ad ora, di nomi importanti, nel processo, se ne erano visti pochi. Quello di Gelli, per l'epoca in cui si sono svolti i fatti, è davvero un nome che conta. Ma cosa c'era andato a fare, il Gran Maestro della P2, a Trapani (dove, è bene ricordare, lo stesso Rostagno stava indagando su un'altra loggia massonica, la Iside2)? «Con i fratelli trapanesi» - ha continuato Siino - «Gelli venne a parlare del progetto di golpe che si voleva mettere in atto, ma in realtà non era un vero golpe, è molto più facile dire chi non voleva partecipare, così pochi erano i contrari, in realtà più che un golpe era un ricatto che si voleva compiere nei confronti di Andreotti».
A Trapani, peraltro, Gelli aveva incontrato anche Mariano Agate, boss di Mazara del Vallo che in tasca aveva anche la tessera della massoneria.[MORE]
«Francesco Messina Denaro (capo della mafia belicina e padre dell'attuale “ricercato numero uno” Matteo, ndr) una volta disse che Puccio Bulgarella aveva un giornalista terribile che gli scappava tutto dalla bocca. Questo giornalista era Mauro Rostagno. Per conquistare la mia attenzione contro Rostagno mi disse che questo dalla tv parlava degli appalti, lo faceva per farmi intervenire in questa situazione e io intervenni. Parlai con Puccio Bulgarella (editore di Rete Tele Cine, la televisione per la quale lavorava Rostagno, ndr). Una prima volta lo scopo fu raggiunto, Rostagno calmò gli interventi in tv, ma poi subito dopo si scatenò di nuovo».
«Mauro non commentava quello che era già cronaca, incideva molto sul costume. Non denunciava fatti nuovi. Era una scelta sua quella di fare cambiare costume alla gente. Il suo era un tratto nuovo di fare giornalismo difficile da rintracciare in altri», è stata la testimonianza di Caterina Ingasciotta Bulgarella, vedova dell'editore. «L'ultima volta che ci siamo visti» - ha continuato la testimone - «Mauro mi disse che aveva qualcosa di particolare che non poteva essere detto televisivamente e questo qualche ora prima del delitto. Credo che riguardasse un'inchiesta che stava facendo a Marsala. Era l'ultima cosa che stava facendo».
(foto: antimafiaduemila.com)
Andrea Intonti