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29 MAGGIO 2015 - Non è una novità, non c’è film di Paolo Sorrentino che non divida l’opinione del Suo pubblico. Dopo i capolavori: Il Divo, This must be the place e La Grande Bellezza, grazie al quale si è aggiudicato l’Oscar come miglior film straniero nel 2014, il regista italiano presente al Festival di Cannes Edizione 2015 con la sua nuova pellicola Youth - La Giovinezza - ancora una volta conferma le attese di quelli che riconoscono Sorrentino come un gigante del cinema italiano contemporaneo. In Youth il regista concentra e «amplifica» - tutti quegli aspetti che gli erano stati “contestati” per La Grande Bellezza e con fierezza e ispirazione, abbassa il pedale sull’acceleratore e spinge molto in avanti il suo estetismo puro. [MORE]
La trama si diluisce fino quasi a disperdersi, il racconto diventa sola immagine, le visioni del topos si moltiplicano: c’è la massaggiatrice che conosce il linguaggio del corpo; il monaco che levita; il finto Hitler; la moglie anziana che fissa il vuoto dalla finestra; ci sono cioè tutti quei simboli o «fellinismi» che sovrastano la storia e in essa trionfano, nell’incontro onirico tra il regista e i suoi personaggi che sarebbero in cerca d’autore, se non fossero diretti dal tocco da maestro dell’abile “presepista partenopeo”. Personaggi resi fluttuanti e in movimento, anche quando sono fermi, fissi e immobili, si direbbe cristallizzati.
La sinossi del film, apparentemente un anello di congiunzione con i giganti stranieri; incastona la vacanza in un resort sulle Alpi dei "due vecchi/giovani amici" ed è un ossimoro di crudeltà peregrina, che si eternizza nell’ amicizia declinata al maschile, quella semplice ed essenziale, nel margine di poche parole, talvolta amare, banali ma sincere e graffianti, come i segni che ogni vita lascia incisi, nelle rughe di quegli stessi corpi. I corpi di ogni età costruiscono la prospettiva esistenziale, che è meglio definita nell'immagine di un giovane sguardo, orientato a scrutare la maestosità e possenza di algide vette, di scalate minacciose e parossisticamente invitanti. Lo sguardo non importa se proiettato sul futuro o all’indietro nel passato, cambia le prospettive nel gioco di sfida e ricerca, d’indicibili asprezze e umane scalate, in esistenze che proiettano da sé il vicino ed il lontano, come dimensione del presente e bisogno di memorie e radici, entrambi implacabilmente in movimento, nell’ incedere naturalmente vivo e vitale di segmenti di vita che marcano il senso del tempo. In quel tempo lento e frastagliato in cui l'amicizia “racconta solo le cose belle” di Michael Caine e Harvey Keitel, insieme a magnifiche bellezze singolari, donne non importa se più giovani o suadenti come la sensualissima Madalina Ghenea, o la seducente Rachel Weisz e l’iconica Jane Fonda, regalano al film una soave sfumatura di bellezza, non solo quella scultorea e piena, ma anche quella cadente e rugosa, in un tocco di fisicità plastica che è un simbiotico sfilare di corpi di ogni età, che marca il divenire fluttuante del tempo attraverso ciascuna importante e intensa esistenza umana.
Figure dallo stampo “felliniano” dalla personalità complessa e un po’ surreale, dalla bellezza disarmante, quella di “moderne” gorgoni che hanno potere di vita o di morte, anche in ruoli di attempate signore cadenti. Ci sono le donne giunoniche e quelle dall’intelligenza perfetta, che avvolgono e plasmano la materia viva dei loro corpi e quella delle emozioni, vibrazioni, passioni, che se coniugate al femminile, anche quando ricoprono un ruolo da regine di assoluta bellezza, riscattano oblunghe, le imperfezioni delle altre, avocandole come diversamente possibile. Le protagoniste femminili dei film di Sorrentino riescono ad arrivare sempre dritte all'essenza di ciò che incarnano e rappresentano, anche stavolta, quella bellezza evocativa dei corpi imperfetti, i corpi che invecchiano, rende assoluta l'umanità e le fragilità inesorabili, realisticamente rappresentate.
Il giovane e il vecchio si compenetrano, in una simbiosi di perfezione assoluta, rivelandone quell'intima essenza dell'equilibrio primigenio del vivere per morire, o del morire vivendo, che spinge a scegliere cioè quale passione concedersi o negarsi, per esistere nella costipata banalità del trascorrere di un tempo sempre identico e ripetitivo; dal quale ci si svincola attraverso la scelta, la possibilità del rifuggire o dell'accogliere; come discrimine che offresi solo allo spettatore. I personaggi di Sorrentino sanno entrare nel cuore degli spettatori, per la loro essenza interiore, ma anche per la loro dimensione corporea di autenticità, che talvolta trasmuta in fastidioso disturbo. Il famoso direttore d’orchestra laconicamente impassibile e distaccato che vorrebbe rifuggire “le emozioni che reputa "sopravvalutate” con esse si alimenta - e ad esse non rinuncia - anche attraverso i ricordi più incerti e dolorosi, quelli cioè che diventano una proiezione del presente, che qualifica ricordi rotti dal tempo. L'Amico regista vinto dal disfacimento del passato, si nutre di emozioni remote e fin tanto che non perde i riferimenti femminili e quelli del proprio corpo, ed essi risponde.
Il Film non è un ossimoro, ha dichiarato Paolo Sorrentino a Cannes, «Il tempo è l’unico soggetto possibile», è «l’unica cosa che veramente ci interessa: quanto passa il tempo e quanto ce ne rimane. Dunque poteva un tema tanto controverso e di difficile rappresentazione, mancare il risultato del genio di Sorrentino? Certamente come tutti i suoi film merita di essere meditato e magari visto e rivisto ancora, per rinnovare suggestioni e rilanciare nuovi impulsi di visionaria bellezza e intensità.
A qualsiasi età riuscendo a mantenere uno sguardo sul futuro si può perpetrare la giovinezza, si può continuare irrimediabilmente a nutrire la vita nella pur tiepida fiducia nel presente. È quando si smarrisce questa prospettiva e s’interiorizzano i fantasmi del passato, si devastano illusioni e sane speranze di inconcludente realizzazione, che l’abisso diventa assoluto. Si può a ragione considerare Youth come la visione ottimista e fiduciosa delle potenzialità di un presente nel quale il futuro è adesso, e lo è incondizionatamente senza se o ma. Ma Youth è di più, è Commovente e dolce, sempre soave e perfettamente musicale, come solo i film di Sorrentino sanno essere, Esteticamente perfetti, surreali, forse fantastici, a tratti eccessivi, ma autentici e diretti; con una magnifica fotografia, essenza diretta di quella bellezza assoluta che anche in Youth Sorrentino genialmente riesce a rappresentare come asfissiante, metafora contraddittoria di speranze totalizzanti, che chiedono ossigeno per vivere. Lo stesso ossigeno che il “doppio” geniale del "Pibe de oro" trascina pesantemente come un dannato del girone dantesco, costretto a spingerne l’enorme peso a cui si aggrappa per esistere, per non rinunciare alla possenza di una materialità irriverente che è del fisico più che del suo genio.
Angela Maria Spina