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Roma, 18 giugno 2011- Dopo la decisione dell’agenzia Standard & Poor's, il 20 maggio scorso, di tagliare da stabile a negativo l'outlook sul debito dell'Italia, anche Moody’s rivede la sua posizione in merito. Nel comunicato diramato ieri in tarda serata, l’agenzia internazionale ha spiegato che il rating Aa2 dell’Italia è stato messo sotto revisione, per un possibile ribasso. Le motivazioni, sottolinea Moody’s, sono principalmente da attribuire alle debolezze strutturali del Paese e ad una probabile crescita dei tassi di interesse in futuro.
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Per fare un po’ di chiarezza, il rating è il giudizio sul rischio di insolvenza di un emittente di debito sui titoli pubblici prodotti dalle tre grandi agenzie specializzate: Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch.
Si tratta, per ciascuna agenzia, di un codice alfanumerico tra la AAA ( attribuito ai paesi privi di rischio) e la D (per default), per un totale di 24 livelli. Importante è la linea di demarcazione segnata
dal rating BBB: -da AAA fino a BBB- compresi, troviamo i titoli investment grade (o di qualità bancaria, meno rischiosi); i rating da BB+ a SD comprendono quelli degli speculative grade.
I titoli con rating speculative grade sono in gergo indicati anche come high-yield o junk (“spazzatura”), a seconda che si voglia sottolineare l’elevato rendimento appunto perché più rischiosi o la bassa qualità.
Più alto è il rischio di insolvenza di un Paese, minore sarà la predisposizione da parte degli investitori a sottoscrivere i suoi titoli, a meno che ad essi non venga corrisposto un premio a rischio, ovverosia tassi di interessi più elevati.
Da questa relazione inversa tra il grado di rischio di default di uno Stato e il rendimento dei suoi bond, gli operatori internazionali traggono le informazioni per i loro investimenti, i quali potrebbero dar vita a speculazioni, con conseguenze sulla stabilità dei mercati. Tutto ciò, non può non riflettersi sull’andamento della Borsa e sul mercato dei cambi.
Infatti, alla luce dell’annuncio di Moody’s, si attende l’apertura del mercato lunedì, per valutare le possibili reazioni delle borse. In particolare, l’attenzione si focalizzerà principalmente sulle aste dei titoli di Stato, con quelle di Bot e Ctz, a cui faranno seguito martedì quelle di Btp e Cct.
Tutto ciò, non fa altro che aumentare le frizioni e, di conseguenza, la stabilità finanziaria dell’Eurozona, già provata dall’andamento claudicante del debito greco.
A tal proposito in un'intervista rilasciata oggi al quotidiano tedesco Suddeutschen Zeitung, il premier lussemburghese e presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker ha dichiarato: "Un'eventuale bancarotta della Grecia potrebbe contagiare Portogallo e Irlanda, come anche paesi con alto debito come il Belgio e l'Italia, prima della Spagna".
La crisi che dall’anno scorso tormenta la Grecia, non ha fatto altro che evidenziare i punti d’ombra dell’unione monetaria.
Infatti, l’euro è risultata essere una valuta “incompiuta”. Il Trattato di Maastricht ha definito un’unione monetaria ma non un’unione politica. C’è una Banca Centrale comune ma non un Tesoro comune. Questo implica che, prendendo in esame le due forme a disposizione per la copertura del debito pubblico (emissione di titoli di Stato e/o creazione di nuova moneta da parte della Banca Centrale), agli Stati dell’UEM è stata preclusa la seconda forma di copertura, in quanto questo è un potere che compete unicamente ad uno Stato-nazione. In tal modo, è come se il debito sovrano dei Paesi membri fosse stato emesso in una valuta “straniera”, appunto l’euro. La moneta è unica ma i Titoli di Stato no. Inoltre, la loro impossibilità di stampare moneta, incrementa il rischio di default sui rispettivi debiti. Ciò comporta che i membri dell’UEM hanno più probabilità di default rispetto agli Stati veramente sovrani.
Ciò vuol dire che, se anche la BCE in futuro deciderà di adottare riforme strutturali volte a ridurre i rischi degli Stati membri, fin tanto che continuerà a persistere questa dicotomia fra unione monetaria e unione politica, l’Unione Europea rimarrà sempre vulnerabile e instabile.
Ecco perché il rischio di un effetto domino non è poi così improbabile.
Rosy Merola