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TORINO, 5 DICEMBRE 2014 - Malavitosi, estremisti, poliziotti corrotti. Nuovi e inquietanti retroscena emergono dalle indagini sulle attività dell'organizzazione criminale romana e i suoi rapporti con gli apparati dello stato.
È il 4 ottobre 2013, Carminati è come di consueto nel suo “ufficio”, il distributore di corso Francia a Roma. I carabinieri appostati con microfoni direzionali e videocamere sanno che quello è il luogo in cui “er cecato” incontra i suoi collaboratori per dare indicazioni e progettare nuovi affari. [MORE]
A un certo punto arriva un'auto, un'Alfa Romeo 156, ne scendono due uomini che iniziano a conversare in modo amichevole col boss. I due sconosciuti avvisano Carminati che c'è un'indagine in corso su di lui e i suoi affari, “Devi stare tranquillo” gli dicono. Quando i carabinieri interrogano i terminali per scoprire a chi appartiene l'auto sobbalzano sulla sedia: immatricolata alla Questura di Roma, quella è una macchina della polizia, e i due uomini sono quasi sicuramente colleghi.
Forse è anche grazie a queste conoscenze e coperture che Massimo Carminati è riuscito a diventare il nuovo padrone della scena criminale romana, dettando legge e incutendo rispetto nel mondo dei “bravi ragazzi” capitolini, quello delle batterie e dei cravattari, del sottobosco politico e degli investimenti imprenditoriali.
Le indagini da cui ha preso le mosse l'operazione “Mafia Capitale” hanno portato alla luce un fitto rapporto tra Carminati e diversi appartenenti alle forze dell'ordine romane. Come “Massimetto la guardia” , un poliziotto che si metteva a disposizione per recuperare materiale informatico ed elettronico di dubbia provenienza, da rivendere sul mercato nero. Ma non solo semplici poliziotti collaboravano con la banda criminale dell'ex Nar, dato che in una conversazione di Carminati con un altro arrestato, Riccardo Brugia, si parla di un tale Federico, molto probabilmente uomo dei servizi di intelligence che da consigli su come evitare le intercettazioni telefoniche.
Uno scenario inquetante ma non certo una novità, dato che già altre volte nel passato sono emersi collegamenti di un certo spessore tra esponenti “infedeli delle forze dell'ordine e ambienti criminali spesso legati ad ambienti della destra eversiva. Già negli anni ottanta, un poliziotto della capitale col vizio dei cavalli arrivò addirittura a rubare un mitra M12 dal commissariato in cui prestava servizio, per cederlo alla banda della Magliana in cambio dell'estinzione di un debito di gioco.
Dalle carte dell'inchiesta emerge come non solo l'avidita e la voglia di arrotondare lo stipendio fossero le motivazioni che spingevano questi “sbirri” corrotti ad entrare in rapporto con la banda di Carminati, ma una vera e propria attrazione per la figura e le gesta passate dell'estremista nero convertitosi alla delinquenza comune. Significativa appare la registrazione di un incontro tra il “Nero” e un non ancora identificato poliziotto in cui quest'ultimo si rivolgeva così al boss: ” A Massimé, io ce starei due giorni a sentirte!".
(Foto da www.roma.repubblica.it)
Maurizio Albavera