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CATANZARO 06 FEBBRAIO 2012 - Oggi risponde alla domanda di Marco il sacerdote Alessandro Carioti
R. Ai tempi di Gesù si pensava che dopo la morte si entrasse in un “mondo” sotterraneo nel quale la persona avrebbe continuato a vivere, ricompensato da Dio, a seconda del comportamento tenuto durante la vita terrena. Se la persona era stata fedele all’Alleanza e aveva vissutto con opere di giustizia, allora viveva nella pace dei giusti insieme ad Abramo (il cosiddetto “seno di Abramo” o luogo dei giusti). Se, al contrario, aveva vissuto empiamente, la persona sarebbe stata abbandonata in un luogo di sofferenza senza Dio (cfr. “Il ricco epulone” Lc 16,19-31). In quest’ultimo luogo la sofferenza spesso veniva rappresentata come un essere gettati nel fuoco. Da qui la Geenna. Dal punto di vista biblico ed esegetico la Geenna non è un sonno in cui andrebbero i morti, bensì era un luogo a sud di Gerusalemme, dove il fuoco era sempre acceso al fine di bruciare le immondizie, i rifiuti del tempo. Una sorta di grande inceneritore dove i rifiuti, a cielo aperto, venivano smaltiti (immagina dunque l’odore e l’aria malsna che si doveva respirare). Gesù aveva indotto l’immaginario collettivo ad associare (similmente, in modo analogico dunque) tale immagine a quella dell’inferno.[MORE]
Per quanto riguarda le immagini di distruzione legate alla fine dei tempi, esse appartengono al cosiddetto “linguaggio apocalittico”, nel quale ci si serve di immagini catastrofiche, a fine simbolico, per significare cioè lo sconvolgimento generale dell’ordine dato da Dio alle cose terrene, il quale avverrà alla fine dei tempi. Inoltre, la Scrittura va letta sempre nella sua unitarietà in base alla quale occorre affermare che il tempo in cui avverrà la fine dei tempi non è mai rivelato (come appare dal vangelo - cfr. Mt 24,36). Le parole apocalittiche di Gesù non hanno nulla a che fare con la chiaroveggenza. Esse semmai intendono concentrare lo sguardo dell’uomo dalla curiosità superficiale per le cose visibili (cfr Lc 17,20) e rivolgerlo al fondamento della parola di Dio, che è Gesù stesso: Signore e Giudice dei vivi e dei morti.
In base a questo possiamo capire il vero significato del brano in questione. Gesù non descrive la fine del mondo, perchè sottrae questo discorso ad ogni connessione cronologica. Egli cerca, invece, di dare spessore al fatto che la sua parola, è parola che salva tutti gli uomini della terra e, perciò, ha un valore infinitamente più alto rispetto al cosmo, al mondo intero, alla storia. Si evince dal brano che segue: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mc 13,31). La sua parola è più reale e più durevole che l’intero mondo materiale. E il terreno solido sul quale possiamo appoggiarci e che regge anche se il sole dovesse oscurarsi e nel crollo del firmamento. Gli elementi cosmici passano ma la parola di Gesù è il vero «firmamento», sotto il quale l'uomo può stare e restare. Diventa chiaro che la parola di Dio, che è la persona Gesù Cristo, illumina il futuro nel suo significato essenziale. Essa non dà mai una descrizione dell’avvenire, ma ci mostra soltanto la via giusta oggi e per il domani.
Il simbolismo del linguaggio apocalittico, dunque, unito al fatto che non è dato conoscere il il momento preciso della fine del mondo, non consentono nel modo più assoluto di poter associare gli attuali fenomeni naturali (sia pur di entità catastrofica, come ad esempio lo tzunami in Indonesia di qualche anno fa) a segni premonitori della fine dei tempi.
don Alessandro Carioti
Si ricorda che ognuno può porre i propri dubbi, i propri interrogativi scrivendo al seguente indirizzo di posta elettronica [email protected]