#25 Aprile. L'altra Resistenza: l'indelebile sacrificio di Salvo D'Acquisto
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FIRENZE, 25 APRILE 2013- Quando si pensa ai difficili anni della Resistenza sorge spontaneo il riferimento alle brigate partigiane che nelle montagne e nelle città dell’Italia centro-settentrionale combatterono i nazifascisti. Tuttavia esistono pagine insolite, forse uniche, ma non meno eroiche che sono state scritte in nome della libertà. Una di queste riguarda senza dubbio la storia del vice brigadiere dell’Arma dei Carabinieri Salvo D’Acquisto.
Nato a Napoli il 17 ottobre 1920, si arruolò volontario nell’Arma dei Carabinieri all’età di diciotto anni. Divenuto carabiniere nel 1940, nello stesso anno fu inviato a Tripoli quando anche l’Italia aveva fatto il suo tragico ingresso nel conflitto mondiale. Dopo essere stato ferito a una gamba e aver contratto la febbre malarica, nel 1942 fece ritorno in Patria. Frequentò la Scuola Allievi Sottoufficiali Carabinieri di Firenze e ne uscì con il grado di vice brigadiere. D’Acquisto fu assegnato alla stazione dei Carabinieri di Torrimpietra a qualche decina di chilometri da Roma, lungo la via Aurelia. Nonostante la sua giovane età si distinse per il senso del dovere e la lucidità nell’affrontare ogni situazione. Eppure gli eventi di quel periodo non avevano, di certo, il sapore della normalità. Il 25 luglio 1943, in seguito alla seduta del Gran Consiglio del fascismo, Re Vittorio Emanuele III aveva fatto arrestare Benito Mussolini. Ne scaturì una fase di grande incertezza che si aggravò all’indomani dell’armistizio, annunciato l’8 settembre. L’illusione della fine della guerra fu ben presto sostituita dal timore per la reazione degli ex alleati nazisti.
In questo clima, il 22 settembre alcuni soldati tedeschi di un reparto di SS si accasermarono presso postazioni precedentemente in uso alla Guardia di Finanza, nelle vicinanze della località Torre di Palidoro. I tedeschi ispezionarono alcune casse di munizioni abbandonate e furono investiti dall'esplosione di una bomba a mano, probabilmente a causa della loro imperizia nel maneggiare gli ordigni. Due dei militari morirono e altri due rimasero feriti. Le SS scartarono l’ipotesi di un incidente e avanzarono invece la tesi dell’attentato perpetrato dai partigiani. Il luogo dell’esplosione rientrava nella giurisdizione della stazione dei Carabinieri di Torrimpietra e, pertanto, il comandante del reparto vi si recò pretendendo la collaborazione nel perseguire i colpevoli. La stazione era temporaneamente comandata da Salvo D’Acquisto, in assenza del maresciallo preposto al comando. L’ultimatum tedesco non lasciava spazio al dubbio: gli attentatori dovevano essere consegnati entro l’alba altrimenti si sarebbe scatenata una rappresaglia. D’Acquisto tentò invano di convincere gli ufficiali nazisti sul fatto che la morte dei soldati fosse da attribuire a un caso fortuito. La cieca e sconsiderata sete di vendetta aveva annullato qualsiasi ricerca della verità.
Svolte alcune brevi indagini il vice brigadiere fece un ultimo disperato tentativo di persuadere i tedeschi. Ma il 23 settembre ventidue uomini furono selezionati senza alcun criterio tra gli abitanti della zona in seguito a un rallestramento. Le SS attuarono un sommario interrogatorio al termine del quale tutti gli ostaggi si dichiararono innocenti. Anche Salvo D’Acquisto fu condotto nella piazza dove erano stati radunati gli uomini rastrellati. Con dignità e coraggio il sottoufficiale difese i civili sostenendo l’infondatezza della rappresaglia che andava materializzandosi. Secondo alcune testimonianze oculari fu malmenato dai soldati tedeschi ma la sua posizione non mutò.
Gli ostaggi furono trasferiti fuori dal paese e, fornite loro della vanghe, venne imposto di scavare una grande fossa comune. Alcuni prigionieri furono obbligati a scavare con le mani per la penuria di pale. Man mano che i minuti trascorrevano si faceva sempre più chiaro il terribile destino che attendeva i malcapitati. Le SS, dopo le minacce, avevano ormai intenzione di passare alle vie di fatto. Scavando quella maledetta buca gli uomini erano certi che di lì a poco sarebbero stati fucilati.
Salvo D’Acquisto, ormai conscio dell’atroce sorte a cui stavano andando incontro quei cittadini che il suo giuramento gli imponeva di proteggere, decise di intervenire. Ma andò ben oltre l’adempimento del suo dovere. Il vice brigadiere si rivolse al comandante delle SS che si ostinava a chiedere i nomi dei colpevoli, e si autoaccusò come unico responsabile dell’attentato. I tedeschi erano consapevoli dell’innocenza di D’Acquisto e furono spiazzati dal comportamento del carabiniere. Ad un tratto i ventidue prigionieri che ormai avevano ultimato di scavare la fossa, furono liberati. Non sembrava vero. Abbandonarono di gran carriera quel posto lasciandosi alle spalle un orrore che, fortunatamente, non si era concretizzato. Ma cos’era successo? Perché i tedeschi rinunciavano all’esecuzione? Per quale motivo quel carabiniere napoletano, conosciuto e rispettato da tutti, non era stato rilasciato? Ben presto ogni mistero fu svelato. Le raffiche del plotone d’esecuzione diedero la morte al vice brigadiere Salvo D’Acquisto. Qualcuno avrebbe udito il sottufficiale urlare “Viva l’Italia” nell’istante che precedette la fine. Stando ad alcune testimonianze i tedeschi riconobbero l’eroismo del militare dell’Arma e furono colpiti dal suo coraggio persino davanti alla morte.
Salvo D’Acquisto morì a soli ventitré anni. Il suo martirio impedì alla barbarie nazista di abbattersi su dei civili innocenti. Una vicenda commovente che consegna alla storia l’estremo ed indelebile sacrificio del vice brigadiere. Il 25 febbraio del 1945 fu conferita al sottufficiale la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione "Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, era stato condotto dalle orde naziste, insieme con 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, pur essi innocenti, non esitava a dichiararsi unico responsabile d'un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così, da solo, impavido la morte, imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell'Arma".[MORE]
Davide Scaglione