Intervista a Carlo Buccirosso: "Al teatro da autore. Il cinema? Dipende dal copione"
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Carlo Buccirosso torna al Teatro Eliseo a Roma con La vita è una cosa meravigliosa. Da autore, oltre che da attore. Sul grande schermo, intanto, è nel cinepanettone Indovina chi viene a Natale? di Fausto Brizzi. Ma confessa: "Mai accettato film di Natale. Ma in questo caso...". Su Sorrentino: "registra estremo". E racconta un rimpianto cinematografico...
Ti abbiamo visto sul grande schermo in chiusura di 2013 in Indovina chi viene a Natale di Fausto Brizzi. In questo momento, però, è soprattutto il palco ad assorbirti, con un gradito ritorno al Teatro Eliseo di Roma.
C.B: Sì, torno dopo parecchi anni, perché avevo cominciato addirittura nel 1992-93, prima con Vincenzo Salemme al Piccolo Eliseo, dopo un anno proprio all’Eliseo con Umberto Orsini ne Il misantropo di Molière. Ora ritorno da capocomico, come autore. Questa mia commedia, La vita è una cosa meravigliosa, è un’eco delle difficoltà di una vita che è diventata così complicata, forse complicata dallo Stato, dalle sue leggi, dalle tasse, non soltanto dalla disonestà dell’individuo, dell’essere umano in sé, che complica ancor di più. Mario Buonocore è un povero capotreno che viene tartassato dalla verifica della guardia di finanza che sta subendo da mesi sui propri conti bancari. Ha quindi bisogno delle proprie sorelle per le “giustifiche”: testimonianze che dimostrino i vari versamenti e le varie operazioni bancarie. Bisognoso di queste giustifiche, torna a casa dopo undici anni, perché era in brutti rapporti con la propria famiglia. Chiede aiuto per la verifica fiscale, invece trova una situazione abbastanza inaspettata: il denaro in contanti che circola in famiglia. Si darà da fare per trovare la serenità, la tranquillità, ma soprattutto l’onesta in un contesto turbato dalla presenza di un cognato che è un poco di buono. Sembra una storia semplice, ma è ingarbugliata: è divertente seguirla. [MORE]
E fino al 6 gennaio sarà possibile seguirla dal vivo al Teatro Eliseo. Osservavi di questo sdoppiamento: da attore ad autore, e non è la prima volta in questi anni. Come cambia la tua arte in questo delicato passaggio? C’è più libertà o più responsabilità?
C.B: Cambia abbastanza radicalmente: stanotte stessa io mi sono addormentato con i pensieri di questo testo, che non mi lasciano tranquillo. Il vantaggio rispetto al cinema è che la pellicola cinematografica è quella: una volta girato il film, è finito, non lo puoi più cambiare. Se l’hai sbagliato, è sbagliato: lo devi soltanto stracciare o incendiare. Nel teatro, se qualcosa è sbagliato, puoi ancora cambiare. Lo scrittore, l’autore è in scena: tanto più nel mio caso. Ogni sera verifico col pubblico se quello che ho scritto è giusto, se qualcosa non è chiaro, se può far ridere di più, se può emozionare di più. Attraverso le prove, il giorno dopo si può cambiare, riscrivere un pezzo. La responsabilità si quadruplica: ogni giorno vai a letto con quei pensieri lì, devo far crescere questo bambino che è nato appena cinque o sei giorni fa. Deve andare avanti, deve crescere, deve diventare grande.
A proposito di crescere e diventare grandi: c’è una generazione cresciuta con le tue commedie, con i tuoi duetti con Salemme, con le tue battute di E fuori nevica. Certa mimica e certe battute sono letteralmente entrate nella vita di tanti, sono diventate gergo del gesto e del linguaggio…
C.B: Non lo sapevo… beh, questo è molto bello. Però dovete crescere pure voi! (ride)
Non ti sei fermato, naturalmente, a quelle commedie. Tanto è vero che proprio ora sei nelle sale cinematografiche con Indovina chi viene a Natale. La presentazione di Mario Buonocore, il protagonista della tua opera teatrale, è stata così vivida, che ora è troppo forte la tentazione di chiederti di profilare il personaggio di Antonio. Nel film di Fausto Brizzi lo interpreti con disinvoltura: una naturalezza che probabilmente mostra come questo tipo di personaggio sia nelle tue corde.
C.B: Ti ringrazio. È il primo film di Natale che faccio io, non ne ho fatti altri. Ci sono andato vicino, me l’hanno sempre chiesto, e poi non li ho accettati, perché non mi piacevano i copioni, non mi piaceva l’atmosfera. Io scelgo i copioni, non me li faccio imporre. Chiedo dopo quanto mi danno: non mi faccio ingolosire dai soldi. Ché tra l’altro c’è poco da ingolosirsi, con la crisi del cinema i cachet sono bassissimi. Però, devo dire che in questa circostanza è andata bene in tutte e due i casi: per il testo che mi piaceva tantissimo e per il fatto che sono stato rispettato molto come attore sia dalla produzione che dal regista, che è una grandissima persona a livello umano, Fausto Brizzi. Compagni molto buoni, tra l’altro. Il personaggio sembrava adatto alle mie corde, potevo impersonarlo con quella che ritengo sia la mia dote principale: la naturalezza. Mi si dava la possibilità d’interpretare questa simpatia, questa tenerezza quasi da “paperino paolino”, da parte di questo personaggio che vuole riconquistare la famiglia, dandosi da fare come organizzatore di giochi natalizi, di tombole, quasi giochi senza frontiere, con travestimenti da Babbo Natale, renna, disc-jockey. L’altra sera passava dalle parti del Cinema Adriano e c’era un signore che mi ha fatto tenerezza: prima aveva visto passare Abatantuono dalle parti del cinema, poi Raul Bova, poi mi ha visto con il cagnolino. Ma com’è possibile, tutti qua intorno che camminate? - mi ha detto. Ma soprattutto ha aggiunto che è un film molto garbato, molto carino, molto per la famiglia: questo il commento di uno comune spettatore.
A proposito del giudizio degli spettatori: sono stato testimone oculare di una serie di ovazioni da parte del pubblico al recente Festival di Roma ogni volta che compariva il tuo personaggio nel film Song e’ Napule dei Manetti Bros. La tua arte drammatica, però, va ben oltre lo stereotipo del napoletano in cui qualcuno ti vorrebbe rinchiudere. C’è un ruolo che hai interpretato in questi anni al quale sei particolarmente affezionato e che in qualche modo costituisca una dimostrazione di quanto sia poliedrica la tua figura d’attore?
C.B: Hai fatto bene a dire “rinchiudere”: mi vogliono rinchiudere, è proprio una prigione. Questi cliché sono delle catene pazzesche, c’è una visione molto limitata, molto bassa, da parte di chi organizza questo mestiere. È un po’ come il ruolo di un giocatore che mettono solo in attacco, per fare gol, ma che magari frutterebbe di più come mezz’ala o a centrocampo. Ci vorrebbe una visione più ampia, ma spesso non ce l’hanno. Allora me la scrivo io, la sceneggiatura. Al di là del ruolo teatrale che sto interpretando ora, che è uno di quelli più giusti: nel primo atto si ride da morire, nel secondo atto il mio personaggio diventa all’improvviso quasi drammatico, sono quindi molto legato a Mario Buonocore, a questo spettacolo teatrale. E d’altronde me lo sono scritto io. Al cinema, invece, Pomicino (ne Il Divo di Paolo Sorrentino, n.d.R.)… ma forse, addirittura, un film che non è mai uscito: un film di quelli che poi non hanno avuto un proseguimento al cinema per problemi produttivi. Tanti anni fa l’ho girato con Claudia Gerini, Alessandro Gassman, Leo Gullotta. Si chiamava Guardiani delle nuvole (regia di Luciano Oderisio, n.d.R.): un personaggio meraviglioso, veramente stupendo, assolutamente drammatico. Io ero uno scagnozzo di un camorrista degli anni ’50, con le musiche di Ennio Morricone. Mai uscito al cinema: uno dei misteri del cinema italiano. Nemmeno in televisione, sparito quel film: ha fatto due repliche, poi si è fermato. Problemi produttivi, mancanza di denaro… boh? Ci penso sempre a quel film: ci abbiamo messo tanta di quella fatica… sparito, mai più uscito.
Hai citato il personaggio di Cirino Pomicino ne Il Divo di Sorrentino. Il suo ultimo lavoro, La grande bellezza, è nella shortlist dei nove film candidabili agli Oscar tra le pellicole straniere. Anche tu hai preso parte al film, ma viste le tue prove autoriali, vien da chiedersi se la presenza sul set di un regista così acclamato anche a livello internazionale non si sia magari tramutata per te in “occasione laboratoriale”: un’opportunità per studiare de visu i trucchi del buon regista, per poi passare, un giorno, dietro la macchina da presa.
Tutto il cinema, non solo quello di Paolo, dà questa possibilità. Poi Paolo incarna il cinema estremo, quasi americano. Non a caso potrebbe essere tra i 5 candidati agli Oscar come miglior film straniero. Certo, devi rubare da Paolo. È talmente serrato quello che fa (perché sa quello che deve fare), lo fa in maniera talmente articolata, che forse bisogna prima imparare dagli altri. È talmente un gradino in su rispetto agli altri che è meglio imparare da quelli che stanno più sul pianeta Terra. Poi, per girare un film oggi basta avere un grande operatore, un grande direttore della fotografia, e poi farlo – se hai idee chiare: e a quel punto dirigi gli attori. Là parliamo di grandissimi registi soprattutto a livello della macchina da presa, mentre io parto sempre dall’idea di un film che vorrei girare dirigendo soprattutto gli attori. Poi magari ci sarebbe qualcuno che nel frattempo girerebbe il film con le mie idee di ripresa, le mie idee d’inquadratura. Magari crescendo, impari man mano anche a dirigere e a capire come funziona la macchina da presa.
A cura di Antonio Maiorino
Si ringraziano Rino Talente e Giosuè Vittorioso di Radio Stereo 5 per la disponibilità e la collaborazione.