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La guerra tra Israele e Hamas infuria oramai da tempo. La striscia di Gaza un tempo orgoglio dello Stato palestinese, è ormai un cumulo di macerie. I morti si accatastano nelle strade e gli ospedali in rovina, sono al collasso, la popolazione muore di fame. In tale contesto fatto di sofferenza, distruzione e rovina vi era una pallida speranza, derivante dal negoziato tra i due contendenti al Cairo, che oramai è andata in fumo. Ma quali sono stati i motivi di tale fallimento? Quali le proposte messe sul tavolo delle trattative? Da una parte Hamas chiede un cessate il fuoco permanente nella Striscia di Gaza, per il popolo palestinese di rientrare nelle proprie case e il ritiro di tutte le forze israeliane, oltre a uno scambio di detenuti e una distribuzione di viveri e beni di prima necessità alla gente. Dall’altro lato la proposta Israeliana: una tregua di sei settimane, la liberazione degli ostaggi in cambio di 900 prigionieri palestinesi e dell’invio di camion di rifornimenti.
Come possiamo notare tale proposta non contiene nessun impegno per un cessate il fuoco permanente definito elemento fondamentale e non negoziabile da Hamas. Israele nella persona di Netanyahu ritiene ogni proposta palestinese come “delirante” e si accinge a portare nel modo più brutale possibile la conclusione di tale guerra. Come? Preparando l’attacco a Rafah dove sono presenti 1,4 milioni di civili innocenti. Ma perché andare avanti? Perché proseguire nello sterminio di un popolo? Semplicemente perché qualora finisse la guerra contro Hamas immediatamente senza l’attacco a Rafah (dovremmo dire il massacro di donne e bambini nei campi profughi) Netanyahu perderebbe il ruolo di primo ministro di Israele e pertanto alle prossime elezioni perderebbe il suo secondo mandato elettorale. 33.207 morti e 75.933 feriti per una manciata di voti. Ecco quanto vale la vita per il primo ministro israeliano. In tale clima egli si ritrova tra l’incudine e il martello, da una parte il suo popolo che richiede la liberazione degli ostaggi a gran voce nonché le sue dimissioni, e dall’altra il partito della destra sionista che vorrebbe il pugno di ferro su Gaza. Nella presente situazione di tensione la Comunità Internazionale è largamente divisa, tra chi sostiene Israele e chi Hamas, come l’Iran il quale pur non attaccando direttamente Israele lo colpirà mediante miliziani filo iraniani presenti nel territorio.
Tutto ciò potrebbe portare a una rapida escalation del conflitto? La Turchia, sconvolta dal modo in cui il primo ministro Israeliano sta gestendo il conflitto, in un vano tentativo di limitarne i danni ha imposto il limite alle esportazioni di numerosi beni verso Israele, ferro, acciaio e alluminio come riferito dal ministero del commercio turco: "Questa decisione rimarrà in vigore fino a quando Israele non dichiarerà un cessate il fuoco immediato e consentirà l'accesso continuo degli aiuti umanitari a Gaza". Giordania, Francia ed Egitto tentano di formare una coalizione per chiedere il cessate il fuoco immediatamente, per salvare quante più vite possibili, invocando a gran voce la soluzione di due Stati sullo stesso territorio come in precedenza affermato dalla Spagna. In tutto ciò l’Onu nella persona di Guterres lamenta che Israele nega l’accesso ai media della striscia favorendo una disinformazione sui reali fatti e una carenza di democrazia: "Negare l'ingresso" "ai giornalisti internazionali significa consentire il fiorire della disinformazione e delle false narrazioni"
"Una guerra dell'informazione si è aggiunta al trauma della guerra a Gaza, oscurando i fatti e spostando le colpe". Questo è un dato di fatto perché, non è possibile ricostruire al meglio i molteplici errori del primo ministro e dei suoi sottoposti, come il fuoco sui civili alla raccolta e distribuzione dei viveri, o la morte dei 7 dipendenti del World Central Kitchen per non parlare delle bombe cadute sull’ambasciata iraniana che potrebbe comportare una guerra mondiale. La guerra in Medio Oriente è una guerra di cui non sappiamo molto, in cui la comunità internazionale che detta la politica è direttamente coinvolta, poiché dallo Stato di Israele viene importato il gas che prima veniva dalla Russia e pertanto possiamo affermare che il primo ministro Israeliano tiene in pugno l’Europa e i gli Stati Uniti manovrando le fila come un burattinaio. In questa incertezza politica, economica, internazionale oltre a chiedere il processo di Netanyahu per crimini di guerra, è importante che la comunità internazionale decida in modo chiaro da che parte stare e trovi una soluzione che consenta a due popoli e due culture spesso in conflitto tra loro per idee, cultura e religione di convivere pacificamente prima che sia troppo tardi per l’umanità intera.
Marco Rispoli (Davoli)