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ROMA – I bambini sanno che le parolacce non si devono dire. Poi crescono e scoprono che un “Vaffa” ha un diverso peso se lo rivolgono alla maestra o al compagno, se sono in un campo da gioco o a scuola. Insomma il contesto e gli interlocutori decidono la gravità dell’offesa.
Ora tutto ciò è definito nero su bianco dalla Cassazione e quindi attenzione a mandare a quel paese qualcuno, accertarsi sempre prima che sia il contesto adatto.
Il “Palazzaccio” si è trovato a risolvere un ennesimo caso di ingiuria provocato proprio da un “vaffa”,[MORE] il ricorrente condannato precedentemente, ha presentato ricorso con la linea difensiva che si basava sul fatto che l’espressione è “ormai di uso comune ha perso la sua efficacia offensiva pur rimanendo una espressione maleducata.”
A questo punto la Cassazione ha stabilito, se così si può dire, una scala di gravità del “vaffa”: prende atto che in certe situazioni, "come in politica", è difficile "eliminare i toni accesi e le espressioni pesanti", specie se ci si trova in un"contesto di polemica", ma data la quantità di parolacce che si scambiano le persone"ai fini di accertare se sia leso il bene protetto dall’art. 594 c.p. occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale".
Per stabilire se l’espressione è ingiuriosa bisogna guardare "alla personalità dell’offeso e dell’offensore e al contesto nel quale la frase ingiuriosa sia stata pronunciata".
Continua la Cassazione “Se vengono pronunciate nei confronti di un insegnante che fa una osservazione o di un vigile che dà una multa, assumono carattere di spregio”.
Diversa è se la “parolina” è detta tra pari,"in situazioni che non richiedono manifestazione di specifico rispetto".
Il ricorso comunque è stato perso e la Cassazione ha consigliato di “porre fine alla discussione con il ricorso ad una espressione tipo ‘non infastidirmi”.