"Blue moon" di Alina Grigore, nella gabbia di famiglia. Intervista alla vincitrice del Festival di San Sebastián
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"Blue moon" di Alina Grigore, nella gabbia di famiglia. Intervista alla vincitrice del Festival di San Sebastián

giovedì 21 ottobre, 2021

Per la rubrica UNCUT GEMS – diamanti grezzi, Blue moon di Alina Grigore: le interviste di Antonio Maiorino sui migliori film d’autore del cinema contemporaneo mondiale. Spesso, inediti (in Italia), non ancora “sgrezzati” dallo sguardo dello spettatore; spesso, autentici gioielli nascosti.

Dal Festival di San Sebastián è arrivata l’ennesima conferma: siamo circondati da film rumeni. Fatti bene, per fortuna. Blue moon di Alina Grigore ha infatti vinto il premio principale – la Conchiglia d'oro – alla 69° edizione del noto festival che si tiene annualmente in Spagna nei Paesi Baschi. Questa stagione del cinema di Romania, che come sempre avviene in questi casi, qualcuno ha ribattezzato come nuova onda del cinema rumeno, sembra lunga quanto l’estate 2021 dei trionfi italiani dagli Europei di calcio a quelli di pallavolo. Maestri di questi anni sono stati, tra gli altri, i vari Cristi Puiu, Corneliu Porumboiu, Cristian Mungiu. Ma basterebbe una spulciata del palmares dell’ultimo anno per capire che come ci siano già una generazione e una rigenerazione in atto. Bad Luck Banging or Loony Porn di Radu Jude arriva in Italia distribuito da Lucky Red dopo aver trionfato a Berlino. Collective di Alexander Nanau è stato premiato come miglior documentario agli European Film Awards. Imaculat di Monica Stan, di recente intervistata su queste pagine, e George Chiper-Lillemark ha sbancato le Giornate degli Autori nell’ultima edizione del Festival di Venezia e vinto il Leone del Futuro.

Ma ogni film fa storia a sé. E questa, di storia, ha molto a che fare sia con l’esperienza della stessa regista Alina Grigore, sia con una situazione assai comune per molte donne delle zone rurali: la difficoltà nel poter continuare gli studi. Non solo questo. C’è di mezzo uno “stupro possibile”, o invisibile, di una ragazza che si sveglia senza sapere con chi abbia sia stata a letto la notte precedente. Abbiamo chiesto alla regista di raccontarci contenuto, stile e ispirazione dal reale di Blue moon.


LA TRAMA DI BLUE MOON

Non una notte indimenticabile per Irina (Ioana Chițu) Si è svegliata senza ricordare con chi abbia dormito la notte prima. La ragazza vive con la famiglia allargata che gestisce un hotel in una zona montuosa della Romania, trovando vera complicità solo nella sorella Viki (Ioana Flora), di cui copre le occasionali scappatelle. Più tormentato il rapporto col cugino Liviu (Mircea Silaghi), che non sa leggere e si fa aiutare da Irina per fatture e comunicazioni, non senza frequenti scatti di rabbia. Depressa dal disaccordo col resto dei familiari, ma soprattutto dall’aspirazione insoddisfatta di lasciare il ruolo di contabile dell’impresa per andare a studiare a Bucarest, Irina riesce a rintracciare l’amante notturno - un attore sposato - senza però essere sicura se il rapporto sia stato consensuale o meno. Sia in famiglia, che con l’uomo, la situazione evolverà in maniera imprevedibile.


PERCHÉ INNAMORARSI DI BLUE MOON

Girato con la camera a spalla che pedina Irina e un montaggio che riduce al minimo gli stacchi, Blue moon si vale di un fondo fortemente realistico, ma sviluppa il racconto per lo più secondo una logica emozionale. Il mondo attorno alla protagonista, spesso, si sfoca; all’esterno del campo cinematografico, i personaggi premono con presenza\assenza incombente prima ancora che la macchina da presa si sposti su di loro; i confronti si esacerbano di urla e aggressioni. Sull’orlo della perenne esplosione, Blue moon sorprende per concretezza fisica, densità psicologica e provocatoria interpretazione dei meccanismi della violenza: dal rovesciamento vittima\aggressore, all’invisibilità dell’abuso.


L'INTERVISTA: ALINA GRIGORE RACCONTA BLUE MOON

ANTONIO MAIORINO: Irina appare come una ragazza in fuga. La ragione principale per cui vuole scappare è quella di proseguire i propri studi, lasciando l’impresa familiare. C’è qualcosa che hai fatto in fase di scrittura per sottolineare questo aspetto, ossia, che quella di Blue Moon non sia una delle tante storie di persone soffocate dal proprio ambiente, e che piuttosto la ragione precisa della volontà di evasione sia lo studio?

A.G: ciò che m’interessava in primo luogo era il percorso psicologico con cui Irina cerca di scappare da tutto ciò che la realtà manipola attorno a lei. Di situazioni del genere, sono stata io stesso testimone da bambina. Ho cominciato a capire gradualmente che le ragazze che lo subiscono tendono a non parlarne. È qualcosa che succede nella mente, e ho cercato di sottolineare questo, sperando di essersi riuscita. Irina non dice di voler completare i propri studi; dice di voler andare a Bucarest. Si sente colpevole e avverte imbarazzo nel chiedere di poter studiare. È stato già argomento di conversazione in famiglia per anni, capisce lo spettatore; pertanto, lei sa già dove si vada a parare ogni volta con la conversazione. Le diranno cose del tipo: ci sono scuole anche qui, puoi mettere alla prova la tua intelligenza nell’impresa di famiglia e via dicendo. Anche quando lei non ne parla direttamente, la famiglia ne avverte il desiderio, l’ambizione. Irina cerca di creare attorno a sé un contesto che rappresenti chiaramente ciò che vuole e di cui ha bisogno. Vuole studiare, ma ha bisogno di rifuggire le manipolazioni.


A.M: di recente ho intervistato la vincitrice della Giornata degli Autori a Venezia 78, la tua connazionale rumena Monica Stan, che parlandomi del suo film Imaculat mi ha detto che le dinamiche dei gruppi – su cui verte la sua opera – a volte diventano sgradevoli, persino patologiche. Diresti che l’atteggiamento manipolatorio della famiglia verso Irina sia un esempio di dinamica di gruppo patologica?

A.G: assolutamente sì. E non solo patologica, che tra l’altro è un’ottima parola. Si tratta di una situazione comune in Romania ed è difficile da rappresentare. Non ho mai detto questo in un’intervista internazionale, ma ora ti svelo un retroscena. Quando abbiamo inoltrato richiesta di fondi governativi per il film, tre anni prima di girarlo, abbiamo inviato la sceneggiatura. La risposta che abbiamo ricevuto è che la Romania e il mondo non avessero bisogno dell’ennesima storia che parla di una donna e dei suoi bisogni: le sue battaglie non erano interessanti, perché ci sono già migliaia di storie come questa. In Romania, in effetti, è una circostanza molto comune. Ma ti dirò di più. È quasi un caso che la storia risulti così centrata su Irina. In origine doveva trattarsi soprattutto di una storia che comparasse una ragazza educata con un uomo rumeno di educazione scolastica media. Solo dopo è diventata una sorta di storia di sopravvivenza. Confesso, perché un cineasta deve essere onesto: è accaduto soprattutto per ragioni pratiche, per il fatto di non aver avuto il tempo di sviluppare oltre la storyline.


A.M: Irina si difende quasi per istinto di sopravvivenza dall’ambiente in cui vive, ma la sua difesa è aggressiva, e finisce per produrre quello che definisci uno switch, come lo definisci, uno scambio di ruolo tra vittima e aggressore. Ti sentiresti di affermare addirittura che Blue Moon diventi, in ultima istanza, un revenge movie?

A.G: per me e per l’attrice che la interpreta, Ioana Chițu, la protagonista Irina è di fatto una sopravvissuta. Tuttavia, il modo in cui riesce a sopravvivere non corrisponde alla migliore e alla più condivisibile delle strategie. Il suo è un effettivamente un atto di vendetta. La mia opinione è che non dovrebbe essere così è che Irina non dovrebbe ficcarsi in una situazione del genere. Alla fine, la sua diventa la storia di un’indebita e vendicativa aggressione.


Irina di spalle tra due familiari


A.M: nel lavoro di preparazione di Blue Moon, mi colpisce che tu abbia usato una procedura quasi documentaria: quella di intervistare alcune ragazze del villaggio. In un film di così forte realismo, come ha contribuito il metodo di lavoro e il modo di espressione che fanno capo generalmente al documentario anziché alla finzione?

A.G: il modo in cui abbiamo lavorato col gruppo del montaggio, con gli attori e col direttore della fotografia è consistito nel rendere chiari i contorni della storia. Ho detto al direttore della fotografia che avevo bisogno di rappresentare le emozioni, più che la storia in sé. Non volevo essere un’osservatrice, quanto fare in modo che il pubblico si identificasse con Irina, partecipasse alle sue emozioni. Ho ricevuto molte proposte, ma quella che mi è piaciuta di più è stata quella di mostrare il mondo spesso sfocato attorno a lei. Inizialmente, invece, valutavo di centrarmi su di lei ma di spostarmi spesso anche sui personaggi. Nella versione finale, abbiamo deciso di far sentire i personaggi e la loro pressione psicologica, più che mostrarli. Tutte le scene sono prive di stacchi del montaggio, tranne quella finale, perché si comincia a trascendere da Irina per spostare il punto di vista su Liviu, che doveva quindi diventare anche dal punto di vista visivo la vittima. In una sola scena c’era uno stacco del montaggio, ma l’ho tolta perché sentivo che disturbava l’estetica del film. Non volevamo fare un film su uomini che diventassero mostri, bensì sul fatto che essere mostri, o aggressori, o eroi, o vittime, è un processo che muta costantemente.


A.M: il tuo film ha un inizio molto brusco, con l'invasione del letto di Irina da parte di Viki. È un'invasione quasi giocosa, per svegliarla e farla venire a lavorare; nondimeno, sembra che ci sia sempre qualcosa pronto ad esplodere off screen. Qual era l'obiettivo di questo prologo e pensi che si possa parlare di Blue Moon come di un film di violenza in agguato nell'ombra?

A.G: assolutamente sì. È una visione molto realistica perché se passi un solo giorno nella campagna della comunità rumena, il film ti appare semplicemente come una rappresentazione spontanea di ciò che succede abitualmente. Abbiamo lavorato molto nel dare una sensazione di abuso fisico e mentale. Quando abbiamo mandato il film a critici e persone che potessero darci un’opinione attendibile, in tanti ci hanno detto che c’erano troppe scene di violenza, ma io ho semplicemente pensato che fosse esattamente ciò che succedeva alle donne nella nostra comunità. Ciononostante, non è una storia di violenza domestica, bensì di una donna che cerca di scappare. Sarebbe d’altro canto difficile per qualsiasi regista, maschio o femmina, profilare una storia di violenza domestica in Romania. Nessuno, penso, crederebbe a un soggetto del genere nella sua realtà. Noi abbiamo documentato una storia, ma facendo in modo, comunque, che l’aspetto della violenza non ci sfuggisse di mano. Per questo avevamo bisogno di parti del film in cui, letteralmente, si respira, c’è una pausa. Nella comunità reale, però, poche donne hanno il lusso di potersi concedere questi momenti di tregua.



A.M: il forte realismo che impronta il racconto di Blue moon è una tua costante stilistica, che vedremo anche oltre il tuo esordio, è una caratteristica del cinema rumeno contemporaneo, o semplicemente è il modo in cui aveva bisogno di essere raccontata questa storia?

A.G: sicuramente aveva bisogno di essere raccontato in questo modo, con un approccio molto realistico, anzi, per dirla all’italiana, neorealistico. Adoro il neorealismo, ne sono una grande appassionata. Per il prossimo film sto combinando elementi della commedia dell’arte con una storia molto realistica; abbiamo lavorato nello stesso modo, ma con un’estetica diversa, per raccontare la vita di una comunità familiare. Generalmente la Romania fa film molto realistici, che sembrano quasi documentari. C’è una differenza, però: sono film osservativi, come i documentari stessi, mentre noi volevamo far sì che lo spettatore sentisse, non solo osservasse. Penso comunque che questo aspetto dell’osservazione sia una caratteristica del cinema rumeno. Per intenderci, non facciamo film nello stile di Amélie – dico il primo che mi viene in mente! – che sono maggiormente fondati sul dispositivo di genere e sulla storyline.


A.M: so che hai messo a punto un vero e proprio metodo di lavoro con gli attori per questo film, e che ne fai anche oggetto d’insegnamento. Ha contribuito anch’esso all’effetto verità di Blue moon?

A.G: penso che con gli attori abbiamo svolto un lavoro molto collaborativo intorno alla storia. È durato tre anni, durante i quali ci siamo visti tre o quattro volte a settimane, persino di più negli ultimi mesi, per trovare le giuste motivazioni anche sul lavoro che ogni attore potesse gestire fuori dal set. Ho incoraggiato gli attori a fare questo insieme al direttore della fotografia e al montatore. Quello che è successo è che tutto il cast si è identificato, ognuno con ricordi personali, in eventi che nel film occorrono a Irina. Hanno tutti capito alla perfezione ciò a cui Irina è andata incontro, e questo ha conferito molto realismo all’approccio.


A.M: hai una passione per il grande autore russo Anton Cechov, dichiarata in varie interviste e omaggiata nel film facendolo nominare dal professore che si frequenta con Irina. Cos’ha di cechoviano il tuo film?

A.G: Cechov è stato il primo autore che abbia aperto i miei occhi su cosa la narrazione sia e su cosa sia la storia non solo di un’opera, ma di un singolo personaggio. Mi ricordo che alle scuole superiori, quando ho scoperto l’autore russo, mi sono subito chiesta cosa potessi apprendere dal suo stile. All’università, addirittura mi fermavo coi professori per discutere con loro del fatto che i personaggi mi piacevano tanto perché erano ben sviluppati nella loro umanità, ma che alla fine non capivo di che cosa parlasse in generale l’opera teatrale. L’insegnante mi rispondeva che però capivo, eccome, la natura delle emozioni. Per me conta proprio questo: la qualità delle relazioni, nel senso del modo specifico in cui due persone si mettono in rapporto. In altre parole, conta l’incontro. Mi sembra che questo sia molto realistico, perché nella vita non parti da un punto per arrivare a un altro, con tanto di bel finale. Non c’è una ricetta scritta per una linea narrativa. Spero di poter dire che sia proprio questo aspetto di Cechov a improntare il mio lavoro.


A.M: pensi che questo sconvolgimento di una logica narrativa lineare possa determinare un certo disorientamento nello spettatore?

A.G: in fase di sceneggiatura ne abbiamo discusso molto. Mi dicevano spesso che il pubblico non avrebbe seguito perché non ero sul pezzo rispetto alla storia. Ma il punto è che quando ho parlato con le ragazze del villaggio per farmi raccontare esperienze simili a quelle che sono poi confluite in Blue moon, ho visto che non c’era niente di logico in quello che dicevano, ma che, piuttosto, erano le emozioni a risultare così logiche.


Irina a sinistra e Liviu a destra seduti su un prato


A.M: una decisione potenzialmente spiazzante per lo spettatore è relativa all’inatteso shift, spostamento del punto di vista, dalla protagonista al cugino Liviu. Si avverte con forza perché in precedenza avevate spesso tenuto la camera a spalla incollata a Irina. Perché, in seguito, questo spostamento?

A.G: è stata una decisione visiva. Quando Liviu comincia a diventare la vittima, e Irina il suo aggressore, abbiamo spostato il punto di vista su di lui. Raccontiamo la storia di Irina attraverso la vittimizzazione di un altro, per certi versi. Abbiamo preso un gran rischio, e di fatto ho letto alcune recensioni in cui si osserva che la storia quasi impazzisca e deragli verso Liviu. Ma la nostra idea era che lo stile visivo non dovesse applicarsi a un personaggio specifico, bensì sulla tipologia di emozione che incarna l’uno o l’altro. Ed è quello che succede nella parte finale.


A.M: il paradosso di Blue moon è che Irina vorrebbe lasciare il villaggio e l’impresa di famiglia, ma nessuno glielo impedisce veramente. Alla fine (SPOILER), lei favorisce la fuga di Viki, ma resta con i suoi. Quanto è importante l’aspetto della solidarietà tra le due ragazze, che all’inizio del film potrebbe non apparire così solare, in quella che si profila piuttosto come una sfida tra Irina e il resto del mondo?

A.G: è un elemento che ci sarebbe dovuto essere sin dall’inizio. Per noi era importante mostrare come Viki e Irina potessero andar via in qualsiasi momento. Non semplicemente partire, bensì letteralmente scappare. Abbiamo cercato di creare questa solidarietà ed avevamo più scene, compresa una con dei preparativi di fuga, ma con grande franchezza, devo dire che alcune di queste sono state abbandonate in fase di montaggio. Penso comunque che la nostra idea resti visibile. Anche il fatto che all’inizio Viki salti sul letto di Irina, fa capire come le due ragazze siano molto unite dal punto di vista fisico e psicologico in questa connessione della volontà comune di andar via.


A.M: dal film al contesto extrafilmico. Visto quello che mi raccontavi a proposito della richiesta di fondi governativi in Romania per Blue moon, che ha ricevuto risposte scoraggianti, ti chiedo: quanto conta la solidarietà tra produttrici e registe per condurre in porto progetti cinematografici?

A.G: penso che ciò su cui volessimo concentrarci non sia la solidarietà femminile, ma quella in generale. Abbiamo bisogno degli uomini! Allo stesso tempo penso che dobbiamo concentrarci sui diritti delle donne, non necessariamente sulla questione dell’uguaglianza tra uomini e donne. Non penso che si manchi di solidarietà tra donne in Romania, anzi, ti dico che la maggior parte dei produttori in Romania sono donne e sono molto appassionate. Ma c’è bisogno anche della collaborazione tra donna e uomo. Non ritengo che sia una battaglia contro qualcuno, ma una battaglia con, da combattere insieme. È importante rivendicare una giustizia sui diritti delle donne. Nel mondo siamo su di una buona strada. Personalmente, mi sono sempre sentita molto supportata dalle produttrici, ma ugualmente dai produttori quando c’è stata una sorta di reazione furiosa contro questo movimento egualitario, quando, cioè, le donne si mettono sulla difensiva anziché trovare un punto di contatto. Ecco: dev’essere una collaborazione e non una lotta.


SCHEDA DEL FILM

TITOLO ORIGINALE: Crai nou
TITOLO INTERNAZIONALE: 
Blue moon
REGIA
: Alina Grigore
SCENEGGIATURA: Alina Grigore
PAESE: Romania
ANNO: 2021
GENERE: drammatico
FOTOGRAFIA: Adrian Pădurețu
MONTAGGIO: Mircea Olteanu
CAST: Ioana Chițu, Vlad Ivanov, Ioana Flora, Mircea Silaghi, Mircea Postelnicu, Emil Mandanac, Robi Urs, Ioana Ilinca Neacșu
PRODUTTORE: Gabi Suciu, Robi Urs
PRODUZIONE: InLight Center, Atelier de Film, Forest Film, Unfortunate Thespians, Smart Sound Studios, Avanpost
DISTRIBUTORE: Follow Art Distribution


(immagini: in copertina, dettaglio del poster di Blue moon; all'interno, fotogrammi dal film, in particolare, nelle prime due immagini Irina tra i familiari, nella terza Irina e Liviu seduti sull'erba)

Antonio Maiorino


Autore
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