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Inchiesta 'Call me': 30mila telefonate dal carcere, l'allarme del procuratore di Catanzaro

Redazione
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Inchiesta 'Call me': 30mila telefonate dal carcere, l'allarme del procuratore di Catanzaro
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Allarme dal carcere: oltre 30mila telefonate illecite. La denuncia del procuratore di Catanzaro

Catanzaro – È un dato che preoccupa e scuote le fondamenta del sistema penitenziario italiano: oltre 30.000 telefonate partite da dentro le celle, alcune anche con picchi di 2.000 chiamate settimanali per singolo detenuto. È quanto emerso dall’inchiesta “Call me”, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Catanzaro e dalla Guardia di Finanza di Vibo Valentia, che ha portato oggi a dieci arresti.

Il cuore dell’indagine è la cosca La Rosa di Tropea-Ricadi, un clan della 'ndrangheta la cui operatività, nonostante condanne definitive già dal 1990, si conferma attuale e pervasiva. “Abbiamo certificato la loro capacità di impartire ordini e gestire attività criminali anche dall’interno del carcere”, ha dichiarato il procuratore Salvatore Maria Curcio in conferenza stampa.

Smartphone, Wi-Fi e tablet: la nuova criminalità si muove online

L’allarme non riguarda solo la quantità di comunicazioni, ma anche il mezzo utilizzato. “Cellulari mini, grandi appena sette centimetri, tablet, smartphone e addirittura dispositivi Wi-Fi vengono introdotti nelle carceri italiane con estrema facilità”, ha spiegato Curcio.

I numeri del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) parlano chiaro:

  • 1.084 cellulari sequestrati nel 2022
  • 1.595 nel 2023
  • ben 2.552 solo nei primi mesi del 2024

Una crescita esponenziale che, secondo il procuratore, rappresenta “un vulnus nella sicurezza pubblica”. La rete di comunicazione clandestina consente alla 'ndrangheta di rimanere attiva sul territorio anche con i capi in carcere: estorsioni, minacce, fittizie assunzioni e continui ordini strategici.

Le soluzioni già adottate all’estero, ma in Italia tutto fermo

Durante la conferenza stampa, Curcio ha invocato una risposta forte e concreta: “Una qualche soluzione va trovata”. In Francia e Germania sono già attivi sistemi jammer che bloccano le comunicazioni, nel Regno Unito si usano tecnologie simili, e negli Stati Uniti esiste una rete di controllo avanzata per l’identificazione dei cellulari.

In Italia, invece, il progetto di schermatura delle carceri resta ancora in fase di proposta.

Le donne della 'ndrangheta e il linguaggio in codice

Particolarmente inquietante è anche il ruolo emerso delle donne della cosca, che continuavano a gestire i contatti sul territorio, mantenendo vivo il legame tra dentro e fuori le mura. “Abbiamo intercettato conversazioni in cui usavano termini in codice, come polpette e arancine, per riferirsi alle estorsioni”, ha raccontato il comandante Salvatore Tramis della GdF di Catanzaro.

Uno dei casi emersi riguarda un’estorsione durante il periodo Covid, in cui si pretendeva l’assunzione fittizia di una donna legata alla cosca: un ulteriore segnale della capacità della 'ndrangheta di adattarsi e infiltrarsi in ogni dinamica sociale ed economica.

Conclusioni: un sistema da blindare prima che sia troppo tardi

La denuncia del procuratore Curcio non è solo un grido d’allarme, ma un invito urgente a riformare il sistema penitenziario, rendendolo impermeabile alla criminalità organizzata.

L’inchiesta “Call me” dimostra come, senza interventi tecnologici e normativi, le carceri rischiano di diventare centrali operative invisibili nelle mani dei clan.

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Scritto da Redazione

Giornalista di InfoOggi

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