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All’inizio del tempo, l'Universo era informe e le tenebre fuori e dentro di esso rendevano indistinguibile il bordo dell’abisso. Per un miliardo di anni dal tempo zero non c’erano galassie e stelle a illuminare il cielo, che era solo un ammasso oscuro di gas idrogeno neutro: in seguito nacquero le prime stelle, probabilmente molto massive e quindi di breve vita. Di recenti un team di astrofisici giapponesi ha rilevato il “grido finale” scaturito dalla morte di una di esse: un raro, potente, lampo di raggi gamma (Gamma Ray Burst, GRB). Questo immenso rilascio di energia potrebbe essere stato il primo bagliore dell’Universo dopo l’uscita dalle tenebre.[MORE]
Dopo l’inflazione e durante l’avvio della nucleosintesi primordiale, che ha portato alla formazione degli elementi più elementari, almeno per 300 mila anni non successe praticamente più nulla: l’Universo continuò naturalmente ad espandersi e raffreddarsi. Protoni e soprattutto gli elettroni interagirono continuamente con la radiazione presente, proprio come all’interno di una gigantesca stella. L’universo era ancora completamente opaco dato che la radiazione era ancora legata strettamente alla materia e non poteva propagarsi nello spazio. Poi, ad un certo punto, radiazione e materia si separano, la materia si addensò e nacqueto le prime stelle, ma la luce da loro emessa è troppo debole per essere osservata dai nostri potenti telescopi.
Per sapere quando sono nate queste stelle allora i ricercatori hanno ben pensato di misurare la quantità di idrogeno neutro, il mattone principale delle stelle, ancora in giro in diversi momenti nel passato dell'Universo.
Un modo per farlo è quello di rilevare la cosiddetta radiazione di 21 centimetri, un segnale radio debole emessa dall'idrogeno neutro. Ma i radiotelescopi in grado di fare questo, non sono ancora sufficientemente accurati per misurarne la distanza o, che è una quantità direttamente collegata, l’età dell’Universo quando è stata emessa questa radiazione. Gli astronomi allora hanno spostato le loro analisi sui quasar, che sono nuclei galattici molto luminosi, per cercare l'assorbimento della radiazione dovuto all’idrogeno che circonda il quasar. Sfortunatamente gli spettri dei quasar sono molto difficili da interpretare a causa del fatto che essi risiedono in grandi galassie che già al loro interno presentano gran parte del gas ionizzato.
Che fare quindi? Gli astronomi, si può dire, brancolavano nel buio: poi una luce! Ecco un GRB!
Esso è un evento molto raro, ma estremamente potente che si verifica quando una grande stella in rapida rotazione, collassa: tale esplosione spara un fascio di radiazioni nello spazio che, se orientato nella direzione della Terra, appare come un lampo di raggi gamma nel cielo che dura secondi o minuti, seguita da un bagliore più duraturo a lunghezze d'onda più lunghe. Come per i quasar, la radiazione proveniente da un bagliore GRB può essere utilizzato per la ricerca di idrogeno neutro nel dintorni della esplosione. Il vantaggio dei GRB rispetto i quasar è che i primi sono più “puliti” come fonti di luce, perché hanno origine in piccole galassie e comunque lontani dai centri galattici.
Il team di Tomonori Totani, astronomo presso l'Università di Tokyo, sono stati i primi a ricavare nformazioni importanti dal GRB 130606A rilevato nel giugno scorso dal satellite Swift della NASA. Come avviene per un evento del genere, i telescopi di tutto il mondo si sono orientati nella speranza di raccogliere un po’ della sua luce: tra di essi il telescopio Subaru alle Hawaii è stato in grado di misurare lo spettro della sua afterglow appunto. Ciò che ha reso speciale questo GRB è, appunto, la sua lontananza espressa da un redshift di 5.913, il che significa che è esploso quando l'Universo era solo un settimo sua dimensione attuale e ad un’età di soli 1 miliardo di anni .
Dal spettro del GRB , i ricercatori hanno calcolato che il 10 % del gas intergalattico che ha circondato lo scoppio consisteva di idrogeno neutro: tali dati saranno riportati in un articolo che sarà pubblicato nel mese di giugno nelle pubblicazioni della Società Astronomica del Giappone. Inoltre l'abbondanza di idrogeno neutro suggerisce che il processo di reionizzazione (formazione di materia neutra) che ha chiuso i secoli bui non era ancora completo in quel momento.
"E' un risultato veramente interessante ed il miglior vincolo sulla epoca della reionizzazione", dichiara su Science l’astrofisico Avery Meiksin dell'Università di Edimburgo nel Regno Unito. "Il principale limite di questo tipo di studio è il basso tasso di eventi dei GRB a redshift sufficientemente elevato" dichiara, invece, Totani. Ma tale situazione probabilmente migliorerà nel prossimo decennio con la prossima generazione di telescopi, come il Thirty Meter Telescope e l’European Extremely Large Telescope che dovrebbero essere in grado di individuare GRB molto più deboli e, quindi, incrementare la statistica su di essi.
Luca Tiriolo