Stress da lavoro correlato, sintomi e trattamento. Ne parliamo con lo psicologo Andrea Zammitti
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ROMA, 21 SETTEMBRE 2018 - “Il lavoro nobilita l’uomo e lo rende libero”, affermava Charles Darwin. A volte, però, le condizioni di lavoro possono essere ostili e il lavoratore si trova ad affrontare richieste pressanti, eccessive e prolungate, la sua figura professionale viene sminuita, e l’ambiente diventa opprimente. Il soggetto esposto a tali condizioni solitamente manifesta sintomi psicologici e fisici, che se non trattati, possono evolvere in disturbi e originare seri danni alla salute mentale e fisica.
Intervista al Dottor Andrea Zammitti, psicologo, docente universitario ed esperto nei servizi di job placement.
Dottor Zammitti, cosa si intende per stress da lavoro correlato?
“Con stress lavoro-correlato si intende un processo che coinvolge la persona nel suo rapporto con l’ambiente di lavoro e che si manifesta in presenza di uno squilibrio tra le richieste che provengono dall’organizzazione e le capacità o le risorse dell’individuo, il quale si sente incapace di rispondere a tali richieste”.
Quali sono i sintomi psicologici e fisici?
“A livello fisico, lo stress lavorativo può causare delle alterazioni a carico di vari apparati: cardiocircolatorio, gastrointestinale (ad esempio: sindrome da colon irritabile, ulcera peptica, reflusso gastroesofageo), cutaneo (come dermatite, orticaria, acne), muscoloscheletrico (cefalee, dorsalgie, lombalgie) oltre a favorire l’insorgenza di alcune patologie quali il diabete e l’obesità.
Sul piano psicologico si individuano numerosi sintomi: depressione, ansia, rabbia, insicurezza, irritabilità e insonnia. E’ possibile, inoltre, riscontrare problemi cognitivi quali disturbi dell'attenzione con riduzione della concentrazione, della memoria a breve termine e lo sviluppo di pensieri negativi o azioni sociali negative che hanno conseguenze disfunzionali sull’organizzazione stessa”.
Quali sono gli effetti a medio-lungo termine sul lavoratore e sulle aziende?
“Sicuramente lo stress lavoro-correlato risulta nocivo per la diade individuo-organizzazione. A livello individuale i sintomi comprendono tutte quelle alterazioni sul piano fisiologico, psicologico e comportamentale di cui ho già riferito. I sintomi legati ai comportamenti organizzativi comprendono lo sviluppo di un distacco emotivo, l'assenteismo, un elevato turnover, l'avvio verso una scarsa resa di qualità sul lavoro, l'innalzamento del livello e della frequenza di conflittualità, una scadente collaborazione con i colleghi e, più in generale, una marcata e scarsa percezione di soddisfazione lavorativa. Va da sé che tutto questo provoca una diminuzione dei profitti per l’azienda – in quanto cala la produttività –, costi supplementari derivanti dalla sostituzione di macchinari danneggiati anche a seguito di incidenti e perdita di clienti, in quanto diminuisce la qualità del servizio”.[MORE]
Ha maggiore influenza il tipo di attività/mansione o l’ambiente?
“Dipende. Sono molteplici le fonti di stress e vanno da fattori oggettivi legati all’ambiente e alle condizioni di lavoro (come l’esposizione al rumore, vibrazioni, calore, le turnazioni o la ripetitività delle mansioni) a fattori di natura psicosociale che comprendono i processi stessi di lavoro (ad esempio: il grado di autonomia nello svolgimento delle mansioni o il carico di lavoro), la comunicazione o fattori soggettivi come l’autoefficacia o la difficoltà a conciliare gli impegni lavorativi con quelli privati”.
Non tutti i soggetti esposti agli stessi fattori di stress sviluppano difficoltà psicologiche. È corretto parlare di predisposizione?
“Alcuni modelli prendono in considerazione le caratteristiche individuali che intervengono nel processo di stress ed in particolare quelli che vengono definiti gli stili di coping che le persone attuano in risposta agli stimoli dell’ambiente. Il coping fa riferimento proprio agli sforzi cognitivi e comportamentali che l’individuo compie al fine di gestire le richieste provenienti dall’ambiente. In questo senso, le persone sottoposte a determinati stimoli ambientali ricercherebbero le azioni più opportune per affrontarli, in un continuo processo di adattamento al contesto in cui operano. Non tutti gli stili di coping, in effetti, favoriscono l’adattamento, ma, dal punto di vista psicologico, possono essere visti come delle “predisposizioni” individuali che possono configurarsi come mediatori dello squilibrio tra richieste e risorse a disposizione”.
In cosa, realmente, dovrebbe consistere la prevenzione?
“Quando parliamo di prevenzione e riduzione dello stress lavoro-correlato possiamo distinguere tre categorie: gli interventi di tipo primario, secondario e terziario.
Quello primario comprende interventi realizzati a livello organizzativo il cui scopo è quello di contenere il più possibile gli stressor, ovvero le situazioni stimolo in grado di produrre disagio. Quindi in questo caso è possibile intervenire con una riprogettazione delle attività lavorative, un’analisi del clima organizzativo con un intervento per migliorare la cooperazione tra i colleghi o la ristrutturazione dei ruoli.
Gli interventi di tipo secondario e terziario sono, invece, più specificatamente rivolti all’individuo: i primi hanno lo scopo di modificare la reazione agli stressor, ad esempio mediante tecniche di rilassamento; gli interventi realizzati a livello terziario sono finalizzati alla cura e alla riabilitazione del lavoratore che manifesta i sintomi dello stress. In questo ultimo caso gli interventi possono migliorare il benessere psicologico dell’individuo oppure limitarne l’adozione di comportamenti disfunzionali (ad esempio si può intervenire riducendo gli stati d’ansia oppure cercando di limitare le frequenti assenze lavorative). Sicuramente, dal punto di vista della prevenzione, le organizzazioni possono fare molto cercando di migliorare il benessere dei lavoratori”.
Si ringrazia il Dottor Andrea Zammitti
Luigi Cacciatori
Fonte immagine copertina: spartanshield.org