Sanremo 2016, parte prima: Stadio, elogio all'emozione. Un Ruggeri più Ruggeri che mai
Cultura e Spettacolo Calabria

Sanremo 2016, parte prima: Stadio, elogio all'emozione. Un Ruggeri più Ruggeri che mai

mercoledì 10 febbraio, 2016

10 FEBBRAIO 2016 - Se questo è il vecchio, teniamocelo stretto, verrebbe da dire. Non è detto che sia un Belpaese, bello sol per antichi fasti. Non è detto che i giovani non sapranno né rinverdire né rilanciare, questa nostra Italia. Non è detto, ma Sanremo 2016, parte prima, non è di buon auspicio, a modestissimo avviso dello scrivente. Sindacare sulle qualità delle canzoni è usanza frivola, fine a sé stessa ed al compiacimento del critico e relativi seguaci, ma è da rilevare quanto l’impatto con la gioventù canora della prima serata all’Ariston, è quantomeno glaciale ed avaro. Passione, coinvolgimento, espressività: prendi i tre elementi, shakera il tutto e gusta il risultato. L’eccellenza latita, la sufficienza, spesso, è data per l’impegno (a chi ne cura l’immagine): alcuni artisti sembrano essere addirittura intangibili dall’emozione, il che può passar anche per gran dote, specie per l’articolista pignolo pronto a cogliere il minimo calo di tono. Non che sia piacevole una stonatura, per carità, ma anche qui è una questione d’interpretazione. [MORE]

Nota del redattore: lo scrivente s’immolerà in una stregua difesa, per un notevole grado è partigiano, e lo è divenuto un attimo dopo aver ascoltato Curreri nell’esibizione numero 5 della serata sanremese. Ed altre otto, sulle quali non è più tornato. A dar voti ci penseranno i critici di mestiere, i competenti di ruolo. Qui s’intende solo cogliere un particolare, condividerlo e sperare sia condiviso.

Un giorno mi dirai è nata bene, sarà in ogni caso un successo per gli Stadio: vincono, per distacco, su tutte tante altre comparsate finto-rebel a condimento dello show, costruzioni perfette, fin troppo. E, con Ruggeri, il vecchio che avanza è il vero unico originale: inutile tentare d’ innovare, se il nuovo non porta innovazioni. Preferibile riascoltare il brano più adrenalinico dell’intera prima puntata della kermesse, quello del Rouge, testo freudiano, che ci ha fatto accorgere che l’impeccabile orchestra è dotata di chitarre che sanno andarci giù forte (non fortissimo, siate ancora caritatevoli, solo qualche accenno in un ritornello d’una canzone assai gradevole, ma tutto sommato grazie Rouge).

Se ha lasciato la voce in camerino, se il settaggio in cuffia era, per sua stessa ammissione, sballato e l’ha portato a non esprimersi al meglio, importa poco. Di gran lunga, la migliore esibizione è quella del cantante degli Stadio: l’imperfezione piace immaginarla come il risultato d’un totale trasporto dell’interprete. Curreri è il primo a rimaner coinvolto nella profondità del brano. E menomale, perché è sintomatico del fatto che non sciorina semplicemente versi, ma crede in quelle parole. Così che vulnerabile è divenuto l’artista, vero nella sua dedica d’amore inusuale, non una mera finzione. Un testo importante, un riuscitissimo arrangiamento, l’ideale colonna sonora per rendere efficace una raffigurazione sonora dell’unico amore vero, quello per una figlia. Liberata ogni parola dallo schema e dalla ricerca della perfezione artistica, Gaetano Curreri s’è mostrato spontaneo, regalando un inedito come pars viva. L’artista è spogliato d’ogni costume, nudo, alla mercé degli spettatori le sue emozioni. L’interpretazione risente d’una malcelata commozione. È magistrale. Papà Curreri sembrava avesse gli occhi lucidi e questa è la sua lettera: il regalo ad ogni padre e per ogni figlio. Le mani sul petto, nelle battute finali, sono uno spontaneo messaggio d’amore. Umano. Splendidamente imperfetto, quanto splendidamente vero.

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Nota finale: vincitore del Premio della Critica. Il redattore potrebbe riscoprirsi veggente, chissà.

Salvatore Remorgida


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