Polemica tirocini: Repubblica degli stagisti vs Regione Sardegna
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CAGLIARI, 22 DICEMBRE 2011 – A finire nel mirino della Repubblica degli Stagisti è toccato stavolta alla Regione Sardegna, rea di star promuovendo degli “stage della vergogna”. Come segnala il sito non è affatto una novità che le Regioni si occupino anche di promuovere e finanziare tirocini, tutto un altro paio di maniche è capire i tipi di percorsi proposti. Dalla Sardegna la proposta di questi “Voucher TFO 2011” per 3000 tirocini finanziati con 10 miliardi di euro. Un tirocinio di 6 mesi nei più disparati ambiti per un impegno di 32 ore settimanali. I destinatari? I “non giovani” a partire da 26 anni, 30 se laureati. [MORE]
Come se gli adulti avessero bisogno di stage, commenta il sito denunciando quello che sembra “un caso più unico che raro in cui l’amministrazione sceglie di incentivare l’utilizzo dello stage per la formazione e l’occupazione non dei giovani, bensì degli adulti”. Ma il problema realmente riscontrato non sta tanto nell’età dei destinatari dell’iniziativa, quanto nel tipo di mansioni per cui è possibile fare richiesta, nella maggior parte dei casi in settori che non richiedono una gran gavetta e le cui mansioni vengono rapidamente acquisite dagli apprendisti. Tirocini che in definitiva non avrebbero motivo di esistere.
Dai camionisti ai tabaccai, dai benzinai agli operatori di raccolta differenziata fino ai braccianti e agli operai: una carrellata di offerte che non mancano, in alcuni casi, si richiedere addirittura personale esperto. Per esperti e non 500 euro al mese garantiti dalla Regione Sardegna, ma non può che saltare agli occhi il fatto che anche in questo caso siano le aziende le vere privilegiate del progetto: manodopera a costa zero e senza alcun vincolo contrattuale.
Alla denuncia tarda ad arrivare la risposta del Direttore dell’Agenzia regionale per il lavoro Stefano Tunis. Le motivazioni dell’iniziativa? “Visto lo straordinario successo dei PIP (Piani d’inserimento professionale) destinati ai giovani tra i 18 e i 25 anni, perché non attivarli per i diplomati di 26 anni o i laureati di 30” spiega Tunis. Numerose le contraddizioni tra una continuità lavorativa non garantita e la cecità della regione nel non capire le esigenze di una fascia di persone dai 26 ai 30 anni.
Cecilia Andrea Bacci