Pillole di storia della Repubblica italiana, Giovanni Leone il presidente della polemica
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Pillole di storia della Repubblica italiana, Giovanni Leone il presidente della polemica

martedì 16 aprile, 2013

ROMA, 16 APRILE 2013 - Sesto presidente della Repubblica, eletto dopo Saragat nel 1971, Giovanni Leone, napoletano originario di Pomigliano d’Arco, è stato, potremmo dire, il Presidente della grande accusa.
Nato nel lontano 1908, a soli 21 anni consegue la laurea in giurisprudenza e poi quella in scienze politiche. Allievo di Enrico De Nicola e di Eduardo Massari, soprattutto dal primo apprese una grande lezione umana data da un esponente della cultura liberale antifascista quale De Nicola era. Dopo aver ottenuto nel ‘33 la libera docenza in diritto e procedura penale, insegna come professore incaricato nelle facoltà di giurisprudenza di diverse città, tra cui Bari, dove ebbe come collaboratore Aldo Moro, e Roma dove concluderà la sua carriera universitaria nel 1972.

Iscrittosi in gioventù al Partito Nazionale Fascista, farà parte della commissione incaricata di redigere il codice della navigazione del 1942, approvato in quell’anno con il regio decreto n° 327, stilando la parte relativa alle norme penali tuttora in vigore. Nel 1944 si iscriverà alla Democrazia Cristiana e nel 1945 sarà eletto segretario politico del Comitato napoletano della DC.

Farà parte anche della "commissione dei Settantacinque" che curò il testo preliminare della Costituzione italiana, partecipando attivamente alla redazione delle norme in materia di libertà personali e di azione penale.

Le critiche nei suoi confronti iniziarono già all’epoca della sua carica di Presidente del Consiglio, quando, dopo aver promesso giustizia ai superstiti del Vajont, divenne poi capo del collegio di avvocati dell'Enel nella causa promossa dai superstiti stessi, facendo poi risparmiare all'Enel miliardi di lire.

Fu eletto Capo dello Stato il 24 dicembre 1971, con 518 voti su 1008 "grandi elettori". Pur essendo stato un presidente sempre rispettoso del dettato costituzionale, subì una grande ostilità anche da parte della sua stessa fazione politica, che non lo difese mai veramente di fronte alle gravi accuse ricevute. Queste, rivelatesi poi infondate, furono di varia natura: tangenti, abuso edilizio, frode fiscale, e per ultima l'imputa di essere coinvolto nel cosiddetto scandalo Lockheed. Si disse che, sotto lo pseudonimo di Antelope Cobbler, egli avrebbe incassato mazzette dagli americani perché l'Italia acquistasse i grandi aerei da trasporto di truppa Hercules, i C-130. Lo pseudonimo, letteralmente “ciabattino di antilopi” non significava nulla in realtà, senonché la parola “cobbler” venne scambiata con “gobbler”, divenendo così “sbranatore di antilopi”, cioè un leone. Da quel momento anche le copertine dei più importanti giornali nazionali iniziarono a rappresentarlo a metà tra uomo ed animale.

In un primo momento, Leone pensò di presentare spontaneamente le dimissioni, ma poi l’idea fu tralasciata per passare ad azione dopo il rapimento e la morte di Aldo Moro. Fu Leone stesso ad annunciare agli italiani le sue dimissioni in un messaggio televisivo, nel 1978. Riportiamo qui alcuni stralci del suo discorso tratti da LaStampa:

"Nel momento in cui mi accingo a firmare l'atto di dimissioni dalla carica di presidente della Repubblica, sento il dovere di rivolgermi direttamente a voi, cittadini italiani, per dissipare sensazioni che un avvenimento senza precedenti nella storia della nostra Repubblica potrebbe provocare”.

"Se oggi mi sono deciso a compiere questo passo è perché ritengo assolutamente preminente su quello personale l'Interesse delle Istituzioni. Infatti finché le insinuazioni, i dubbi, le accuse hanno formato oggetto di attacchi giornalistici non suffragati da alcuna circostanza, ho potuto far pesare sulla bilancia la necessità di non drammatizzare, imponendomi un riserbo che mi è stato rimproverato come silenzio, che mi è costato amarezza e che risponde forse a tempi sorpassati. 
Ma nel momento in cui la campagna diffamatoria sembra aver intaccato la fiducia delle forze politiche la mia scelta non poteva essere che questa”.


"Credo tuttavia che oggi abbia io il dovere di dirvi - e voi, come cittadini italiani, abbiate il diritto di essere da me rassicurati - che per sei anni e mezzo avete avuto come presidente della Repubblica un uomo onesto, che ritiene d'aver servito il Paese con correttezza costituzionale e dignità morale. Penso anche che il ricordo del mio servizio politico come prova di dedizione al Paese rappresenti per me e per voi garanzia di integrità. Sia quando, giovane costituente, detti il mio contributo al nascere della Carta costituzionale, alla quale ho sempre ispirato la mia condotta, sia quando, chiamato in momenti difficili ad assumere la carica di presidente del Consiglio, lasciai l'alto seggio di presidente della Camera, al quale avevo avuto l'onore di essere chiamato”.

Dopo le dimissioni ritornò al Senato come senatore a vita e si batté perché la legge sulla violenza sessuale del 1996 non modificasse le vecchie fattispecie del codice penale del 1930.
In occasione del suo novantesimo compleanno, durante un convegno in suo onore a Palazzo Giustiniani, prima della manifestazione, Marco Pannella ed Emma Bonino andarono a stringere la mano all'anziano ex presidente della Repubblica e a scusarsi pubblicamente per gli attacchi di vent'anni prima. Morirà a Roma il 9 novembre 2001 e nel 2006 il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano affermerà che, otto anni prima, il Senato aveva pienamente riconosciuto la correttezza del suo operato. A tal proposito sembra assolutamente lineare il collegamento con l’art. 27 della Costituzione Italiana riguardo la responsabilità penale. Il disposto dell’articolo infatti afferma che “La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Criterio di giudizio, questo, sempre più dimenticato in un’era in cui, il più delle volte, la condanna è mediatica prima ancor che giudiziaria.

Un Presidente, Leone, attuale più che mai, lui, che di fronte alle accuse e all’onta delle colpe attribuitegli, preferì dimettersi per il bene del Paese, dimostrando così che ricoprire una carica pubblica è prima che un fatto personale, un fatto pubblico, che incide l’interesse di tutti. E mai come adesso, anche le sue parole appaiono presenti, sebbene pronunciate in riferimento a situazioni diverse, quali la crisi petrolifera, l’austerithy e l’escalation che il terrorismo ebbe in quegli anni, ma nonostante questo, senza alcun bisogno di commento, esse appena lette bastano.

“Se la crisi che attraversiamo non sarà superata per volontà comune, non vi saranno vincitori, ma solo sconfitti perchè nessuna forza politica che si sia sottratta ad un impegno costruttivo, può pensare di poter dare assetto domani, con i mezzi che il sistema democratico consente, ad una società disarticolata e sconvolta”.[MORE]

 

(Foto dal sito storiadeisordi.it)

Katia Portovenero


 


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