Paolo Apolito, "L'antropologo a domicilio" racconta "Ritmi di Festa"
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ROMA, 22 FEBBRAIO 2015 – “Ciascuno di noi ha un ritmo, […] tutto quello che facciamo ha un ritmo; ma noi siamo affascinati dai ritmi degli altri, come gli altri sono affascinati dai nostri; e quando siamo insieme ci attiriamo, i nostri ritmi cercano di entrare in sintonia in un tempo condiviso”.[MORE]
Con queste parole Paolo Apolito, docente di Antropologia Culturale all’Università RomaTre, sintetizza l’identità dell’individuo, dal punto di vista antropologico, nel promo dal quale presenta inoltre il suo ultimo libro “Ritmi di Festa” (Il Mulino, Bologna, 2014).
Apolito insegna da anni una disciplina che è quasi diventata un piacere di nicchia, una materia per esperti, pochi sono ormai i lettori che approfondiscono i propri interessi attingendo direttamente dai testi.
E lui s’inventa dunque “l’antropologo a domicilio”, una sorta di “spettacolo”, della durata di circa un’ora, in cui in forma narrativa e teatrale si presenta lo scopo del libro: “arrivare anche a chi i libri non li legge o li legge poco, soprattutto quelli di saggistica - afferma Apolito - propongo questa versione più semplice e maneggevole (devo “spostare” solo me stesso) a chi ne è incuriosito”.
Dalla fruizione del cartaceo si è passati al web e al posto della rete il docente popone se stesso. È una visualizzazione a domicilio: anziché leggere dalle pagine, anziché visualizzare uno spettacolo teatrale o visitare un sito, Apolito propone la fruizione di se stesso. Si dà in pasto al pubblico, si fa mangiare dall’utente in modo diretto, come il rappresentante di un aspirapolvere, per “verificare da vicino la capacità/possibilità di comunicare teorie scientifiche in modo non accademico, utilizzando le armi del teatro e della narrazione”.
In uno dei racconti del libro si accenna a un episodio de la “Grande Guerra”, a un giorno diverso dagli altri, il giorno di Natale, in cui soldati inglesi e tedeschi, chiusi in opposte trincee, iniziarono spontaneamente a scambiarsi auguri, a intonare canti e sentire insieme all’altro il Natale, per cercare la consuetudine di sempre, per vivere insieme la festa, che è tale solo se si condivide (n.d.r. il concetto di festa non esiste nella solitudine dell’individuo). Questo episodio, come altri, mette in luce il forte desiderio di condivisione di cui l’uomo necessita e fa nascere la volontà di riflettere sul tema del ritmo e della festa.
Perché l’antropologo si muove oggi a domicilio? Cosa è cambiato nel suo lavoro rispetto a qualche anno fa?
"Non so nel lavoro degli altri, ma nel mio, una necessità di uscire dalla torre d’avorio dell’università e fare il primo passo verso chi ha curiosità di conoscenza, ma non ha abitudini, luoghi e certe volte strumenti per soddisfarla"
Dopo i primi incontri ritiene che possa definirsi un esperimento riuscito?
"Direi proprio di sì. C’è sempre molta gente ai miei spettacoli, più di quanto le varie sale non ne conterrebbero. Ma soprattutto c’è molta “intesa”: dopo lo spettacolo vengono sempre in tanti a parlarmi, chiacchierare, farmi domande e soprattutto lasciarmi le loro testimonianze sui ritmi di festa. Non so quanto si traduca poi questo in letture del mio libro. La mia speranza è che il teatro porti alla lettura"
La Festa come modo ritmico dello stare insieme: il ritmo come condiziona l’orientamento comportamentale degli individui?
"La risposta più ampia è nel mio libro. Detto in sintesi, perché la musicalità comunicativa è la forma delle relazioni umane positive"
Nel suo libro parla di “mimesis”, un’imitazione sì, ma più d’istinto. Potrebbe essere un principio comune a diverse culture determinate o la mimesis è variabile secondo le molteplicità culturali?
"C’è una capacità “naturale” alla mimesi, che poi viene educata, addestrata, “acculturata” e trova dunque forme culturali"
“A me il sentimento di festa fa pensare a una matrioska, si apre ed esce fuori la prima, la gioia, l’emozione, l’entusiasmo; la gioia è l’emozione più diffusa, più presente”. È questo il primordiale sentimento che innesca il “meccanismo” della festa?
"Sì, insieme alle altre bamboline che la matrioska della gioia apre al suo interno. Almeno altre quattro. Tutte da scoprire. E poi ci vuole un performer. Meglio più di uno"
Katia Portovenero