Omofobia. Ne parliamo con lo Psicoterapeuta Andrea Perdichizzi
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TORINO, 11 OTTOBRE 2018 - Le cronache non risparmiano, ancora oggi, in quella che viene definita una società civile e garantista, episodi di violenza nei confronti delle persone omosessuali. Giovani e adulti, spesso, vengono aggrediti da soggetti che nutrono risentimento, odio, disprezzo, e mettono in atto comportamenti discriminatori o violenti verso chi prova attrazione fisica e/o ama individui dello stesso sesso.
Le persone omosessuali si trovano, in alcune circostanze e in ambienti culturalmente degradati, a dover lottare per vedersi riconosciuto lo status di ‘persona’. Può sembrare un’affermazione anacronistica, visto che la caccia alle streghe non è più affare del nostro tempo.
In questa sede non si disquisisce dal punto di vista giuridico, politico, o religioso. La riflessione vuole approfondire aspetti psicologici e con il Dottor Andrea Perdichizzi, Psicologo, Psicoterapeuta ad indirizzo Cognitivo-Comportamentale e Sessuologo Clinico, si vuole far luce sulle difficoltà che una persona omosessuale è costretta ad affrontare in alcune realtà sociali. Difficoltà che, non di rado, si riscontrano anche nell’ambito dell’istituzione sociale primaria, ovvero la famiglia di origine. Verrà delineato anche un quadro, seppur in termini generali, sulle possibili cause in base alle quali un individuo non riconosce l’omosessualità come una variante sessuale.
Dottor Perdichizzi, inizierei con una domanda che in molti le avranno già rivolto: quali sono le cause dell’omosessualità?
“L’omosessualità (così come la bisessualità) è un orientamento sessuale naturale sano, non vi è nulla di patologico in esso. Ormai dal 17 maggio del 1990 l'omosessualità è stata derubricata dal manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali (DSM). Esattamente come per l'eterosessualità, non sono ancora stati individuati dei geni che siano responsabili dell'orientamento sessuale omosessuale ma la ricerca scientifica è ormai concorde nel non ritenere più di fondamentale importanza conoscerne le origini, proprio perché non si tratta di una malattia. Dal punto di vista dell'ambiente, invece, non esistono ad oggi delle ricerche su grandi numeri che attribuiscano a uno specifico contesto di sviluppo una maggiore probabilità di manifestare in età adulta un particolare orientamento sessuale”.
Quali sono le difficoltà psicologiche e i possibili disturbi che possono insorgere se un soggetto si sente rifiutato dalla propria famiglia o da alcuni membri della società?
“Le difficoltà psicologiche sono innumerevoli, se pensiamo a quanto la sfera affettiva e sessuale di un individuo sia pervasiva della sua quotidianità. A qualunque età, quindi non solo in adolescenza, subire il rifiuto della propria identità sessuale da parte della propria famiglia (così come a scuola o nei contesti lavorati) costituisce una delle prove più difficili da superare per qualunque persona omosessuale oggi. Già perchè non esiste un solo uomo omosessuale o una sola donna omosessuale che non abbia subito il peso del minority stress. Con questo termine faccio riferimento a quella specifica forma di stress derivante da uno stigma sociale, che può riguardare l'orientamento sessuale, ma anche altre forme di minoranza, come accade anche per il credo religioso o il colore della pelle. Il vero problema è che spesso le persone omosessuali, soprattutto quelle sposate, vivono nascoste la loro vera identità sessuale e non hanno modo di parlarne con nessuno. Questo fenomeno con l'andare del tempo diventa parecchio stressante a livello psicologico, perché destabilizza l'individuo e lo allontana dal proprio benessere psicofisico, quello per il quale si può stare bene davvero solo quando ci si sente liberi di poter essere se stessi”.
Molti genitori di persone omossessuali temono il giudizio degli altri, senza mettere al primo posto il benessere e la felicità del loro figlio. Cosa consiglierebbe loro?
“Esiste una differenza importante fra l'accettazione dell'orientamento sessuale di un figlio e l'accoglienza della sua identità come persona. I termini "accettazione" e "accoglienza" vengono spesso interscambiati ma ritengo obsoleto l'utilizzo del termine "accettazione" quando non vi è nulla da accettare perchè non c'è nulla che non va nelle persone omosessuali. Un significato completamente diverso assume il termine "accoglienza" perchè presuppone che i genitori, esattamente come il figlio, abbiano fatto i conti con i propri livelli di omonegatività interna e intrapreso un percorso di vera consapevolezza nei riguardi dell'orientamento sessuale del proprio figlio o della propria figlia. Un genitore preoccupato del giudizio che le persone possano avere nei confronti del figlio è un genitore che deve lavorare ancora su stesso riguardo questi temi”.
Ci sono stati suicidi anche di giovanissimi, perché ghettizzati e bullizzati. Come si potrebbe ridurre in modo significativo questo fenomeno?
“La responsabilità è delle persone adulte, non si può pensare che le cose cambino davvero solo grazie al lavoro egregio di molte associazioni LGBT. A mio parere, oggi in Italia è indispensabile che tutti si occupino di questa realtà perchè ridurre questo tipo di comportamenti anticonservativi o in generale autodistruttivi (basti pensare al consumo di stupefacenti fra i giovani che non riescono a fare i conti con la propria identità sessuale) significa prima di tutto cambiare la società, cambiare il modo di educarla alle differenze e al rispetto della diversità, una diversità che andrebbe vissuta come ricchezza e non come minaccia. Per fare questo bisogna partire dalla scuola, occorrono corsi di formazione destinati agli insegnanti per la prevenzione del bullismo omotransfobico nelle classi italiane, programmi di peer education e occasioni di confronto fra gli allievi, possibilmente accompagnati da un professionista competente su queste tematiche”.
Omofobia. È sempre determinata dal meccanismo di proiezione o ci sono anche altre cause?
“La letteratura scientifica ha sempre fatto riferimento al meccanismo di "proiezione" per spiegare l'omofobia. Secondo questa prospettiva le persone omofobe non sarebbero altro che persone omosessuali che discriminano la comunità LGB perché rifiutano il proprio orientamento sessuale non eterosessuale. Io condivido la posizione dei colleghi che hanno accantonato il termine "omofobia" sostituendolo con "omonegatività" perchè non credo che il meccanismo di proiezione sia sufficiente a spiegare questo fenomeno. Non ci sono solo persone che provano paura verso la varietà delle identità sessuali, ci sono persone che odiano queste differenze e la cronaca dei giornali non smette di diffondere notizie di pestaggi o di atti di bullismo omofobico nelle scuole italiane. Purtroppo, molte persone vivono le differenze come una minaccia piuttosto che come una forma di arricchimento per l'umanità intera, così nascono gli stereotipi e i pregiudizi alla base di qualunque stigma sociale”.
Non è semplice cambiare la realtà sociale nella quale le persone vivono. Quali strategie è possibile mettere in atto per raggiungere uno stadio di serenità, quando non ci si sente accolti da alcune categorie di persone?
“Il presupposto di qualunque terapia che si rispetti è perseguire un maggior grado di benessere rispetto a se stessi, non possiamo pensare di stare bene con gli altri se non abbiamo ancora fatto i conti con i nostri pensieri e le nostre emozioni. Non credo sarà mai possibile evitare il giudizio delle persone, penso sia più importante concentrarsi sul proprio modo di stare al mondo, perseguendo una buona assertività nelle relazioni e una buona capacità di autoregolazione del proprio panorama emotivo. Credo siano queste le basi fondamentali per essere sereni, perché quando una persona sta bene con se stessa percepisce automaticamente il mondo in modo diverso, l'attenzione si sposta su ciò che la fa stare bene e il giudizio delle persone perde di valore e importanza”.
Quali sarebbero i vantaggi se si vivesse in una società più tollerante?
“Questa domanda mi fa sorridere perché in questo momento storico-politico è difficile pensare alla nostra società come a una società più tollerante. In verità, la parola "tollerante" presuppone ancora una volta che ci sia qualcosa da accettare, qualcosa di sbagliato o di sconveniente che debba essere tollerato, come se le persone omosessuali, bisessuali o transessuali portassero con sé un difetto di fabbricazione, un errore. Oggi tutta la letteratura scientifica a riguardo dice che non è così. L'errore da correggere sta nella società e probabilmente oggi la nostra società non è ancora pronta per accogliere tutto il nostro Amore. Impresa ardua, ma non impossibile”.
Si ringrazia il Dottor Andrea Perdichizzi, Psicologo, Psicoterapeuta Cognitivo, Sessuologo Clinico, Terapeuta EMDR, Musicoterapeuta
Luigi Cacciatori