Omicidi a picconate, il gup su Kabobo: «Emarginazione sociale e culturale concausa della malattia»
Cronaca Lombardia

Omicidi a picconate, il gup su Kabobo: «Emarginazione sociale e culturale concausa della malattia»

mercoledì 4 giugno, 2014

MILANO, 4 GIUGNO 2014 - Adam Mada Kabobo, l’11 maggio del 2013, uccise brutalmente a colpi di picconale tre malcapitate persone nelle strade del quartiere Niguarda di Milano: Daniele Carella, 21 anni; Alessandro Carolé, 40 anni e Ermanno Masini, di 64 anni. Questi i nomi delle tre vittime.

Lo scorso 15 aprile il gup di Milano, Manuela Scudieri, ha condannato Kabobo, mediante rito abbreviato, al massimo della pena previsto dalla legge italiana, ovvero 20 anni di carcere con l’aggiunta di altri 3 anni da passare in una casa di cura in stato di custodia. Una sentenza che ha per altro riconosciuto la parziale infermità mentale del ghanese al momento del pluriomicidio. Punto quest’ultimo di primo piano durante il controverso svolgimento del processo, considerato che la difesa aveva richiesto il riconoscimento della totale infermità mentale.

Quest’oggi vengono rese note le motivazioni della sentenza di condanna così come riportate dal gup Manuela Scudieri, dalla quali è possibile evincere quali e quante concause hanno condotto Kabobo al folle atto. «La condizione di emarginazione sociale e culturale dell’imputato è già stata valutata, quale concausa della patologia mentale riscontrata nel riconoscimento della seminfermità mentale».

«La condizione di stress derivante dalla lotta per la sopravvivenza – si continua a leggere – ha inciso sulla patologia di base, aggravando la sintomatologia delirante e allucinatoria e la compromissione cognitiva». D’altronde, il giudice sottolinea come in sede di interrogatorio Kabobo abbia «espresso chiaramente il suo stato di rabbia verso un mondo che non lo accoglieva, non gli prestava aiuto e non soddisfaceva neppure le sue primarie esigenze di vita».[MORE]

Tuttavia, a ragione del riconoscimento della seminfermità mentale e non totale il gup, Manuela Scudieri, precisa come sia «evidente che per quanto la malattia abbia svolto un ruolo significativo nella condotta complessiva dell’imputato, egli ha comunque conservato la capacità di comprendere il valore e il significato del suo comportamento e di agire di conseguenza».

(Immagine da ilgiorno.it)

Giovanni Maria Elia
 

 


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