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NAPOLI, 13 GENNAIO – Salt Lake City, febbraio 2002. Di scena al Salt Lake Ice Center è la finale dei 1000 metri short track, la più spettacolare ed imprevedibile delle gare di pattinaggio di velocità: gli atleti si sfidano in poco meno di dieci giri lungo un anello di ghiaccio, senza corsie e dove contatti e cadute sono all’ordine del giorno.
Ai blocchi (si fa per dire) di partenza, cinque atleti: Apolo Anton Ohno, il padrone di casa, Ahn Hyun-Soo, Li Jiajun, Mathieu Turcotte e Steven Bradbury, ragazzone australiano che in quella finale, proprio non avrebbe dovuto esserci. Se gli altri quattro di lì a poco si contenderanno il titolo di campione olimpico grazie alle vittorie nei quarti di finale e nelle semifinali, l’approdo di Bradbury alla finale è stato infatti il frutto di una incredibile serie di episodi.[MORE]
Dopo aver agevolmente dominato la propria batteria, Bradbury pesca ai quarti di finale Marc Gagnon, iridato uscente, e proprio Apolo Anton Ohno, beniamino dei tifosi statunitensi e tra i favoritissimi per il titolo a cinque cerchi. L’esito sembra già scritto: Bradbury finisce terzo, fuori dalle semifinali e parrebbe costretto a tornare a casa. Ma così non è. Gagnon ha ostruito un suo avversario, e a sorpresa viene squalificato: l’avventura olimpica dell’australiano non è ancora finita, andrà in semifinale.
Nella penultima gara della competizione, Bradbury parte piano: sa bene di non avere il passo di quelli davanti ed opta quindi per una tattica attendista, che sul lungo si rivela vincente: Turcotte, Li e Kim-Dong Sung si ostacolano, si toccano mentre lottano per un posto in finale, quindi cadono. Bradbury, distaccato, taglia il traguardo indisturbato ed accede (incredibilmente) alla finale.
Prima di raccontare l’epilogo, che in molti già conoscono, della finale, facciamo un passo indietro di dieci anni. Lillehammer 1994, la Norvegia ospita i diciassettesimi giochi olimpici invernali. Nell’arena dello short track, ai blocchi di partenza della finale, c’è una delle squadre più forti del tempo in questa disciplina: la nazionale australiana. Kieran Hansen, Andrew Murtha, Richard Nizielsky e un giovanissimo Steven Bradbury sono infatti i quattro uomini che tre anni prima, a Sidney, hanno conquistato l’oro mondiale nella staffetta dei 5000 metri, seguito poi dal bronzo nel 1993 a Pechino e dall’argento nel 1994 a Guildford.
Anche quelle volte, come ora a Lillehammer, il loro posto in finale l’hanno conquistato con le proprie forze e non grazie alle cadute altrui. Bradbury apre la staffetta, poi passa il testimone al suo compagno. L’Australia è attenta, non rischia, conosce la forza degli Italiani e degli Statunitensi (saranno rispettivamente oro e argento) e conquista quindi il gradino più basso del podio: è terza ai giochi olimpici del 1994, evento rarissimo per una rappresentativa di un Paese dell’emisfero australe in una rassegna invernale.
Passano poche settimane, e Bradbury torna in pista, in Coppa del Mondo. In una gara dei 1500 metri, si scontra con Mirko Vuillermin, atleta italiano: la lama del pattinatore aostano gli recide l’arteria femorale, Bradbury perde oltre quattro litri di sangue, rischia la morte e solo centoundici punti di sutura lo salvano da una fine tragica. Il suo talento, però è andato via per sempre. Al ritorno alle competizioni, diciotto mesi dopo, le vittorie iridate sono infatti solo un ricordo sbiadito.
Torniamo a Salt Lake City, otto anni dopo il tragico incidente, otto anni dopo il (meritato) podio olimpico. Bradbury parte lentissimo, perde subito contatto con gli avversari e sembra quindi destinato a concludere la gara all’ultimo posto. Ohno, Hyun-Soo, Li e Turcotte sono lì, a fare bagarre per la prima piazza, tutti (pericolosamente) racchiusi in pochi centimetri di pista. Ultima curva , mancano circa dieci metri all’arrivo, Ohno abbozza una gomitata per farsi largo, tocca Li. Il cinese cade, e a catena anche Turcotte, Ohno e Hyun-Soo vengono trascinati giù: Bradbury, decisamente distaccato, è incredulo. Taglia il traguardo e conquista l’oro olimpico. Il primo oro olimpico invernale della storia, per un paese dell’emisfero australe.
Intervistato a fine gara dirà: "non ero certamente il più veloce, ma non penso di aver vinto la medaglia col minuto e mezzo della gara. L'ho vinta dopo un decennio di calvario».
Paolo Fernandes
Foto: sport.sky.it