Siria: Obama autorizza raid anti-Isis. Ma il Califfato è ancora forte come un anno fa
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NEW YORK, 03 AGOSTO 2015 - Il presidente americano Barack Obama ha dato l'autorizzazione alle forze Usa a compiere raid aerei in difesa dei gruppi di ribelli siriani addestrati dal Pentagono nell'ambito della sua strategia anti-Isis, anche se ad attaccarli saranno le forze del regime del presidente siriano Bashar al Assad. Immediata la reazione della Russia, alleata del dittatore siriano. I raid aerei Usa farebbero il gioco dell'Isis, destabilizzando ulteriormente la regione, ammonisce il Cremlino.
Indubbiamente la decisione di autorizzare raid aerei a sostegno delle forze anti-Isis, arrivata al termine di un dibattito andato avanti per un mese, aumenta il rischio di uno scontro diretto con il regime al potere a Damasco. Finora, infatti, il dittatore siriano ha preferito accanirsi sui ribelli filo-occidentali, sicuro di trovare in futuro gli alleati per sconfiggere i fondamentalisti islamici. Una strategia in netto contrsto con l'amministazione Obama, che deve anche vedersela con gli scarsi risultati finora ottenuti in Siria e Iraq. [MORE]
Isis forte come prima. A quasi un anno dall'inizio delle operazioni militari per sconfiggere l'Isis, il Califfato, infatti, non ha mostrato alcun segno di indebolimento. Sebbene abbia perso circa 10 mila combattenti, ha mantenuto intatto quasi tutto il territorio controllato, guadagna decine di migliaia di euro con i proventi della vendita del petrolio e continua ad attirare volontari grazie all'attività sui social network. Anzi, è riuscito a espandere la sua influenza minacciosa anche in Libia, nel Sinai e in Afghanistan. Secondo fonti dell'intelligence Usa i combattenti dello Stato islamico oscillerebbero tra i 20 e i 30 mila, cioè lo stesso numero dall'inizio della guerra.
Un duro colpo per il Pentagono: anche perché dall'agosto dell'anno scorso le oltre 20 mila missioni aeree sono costate circa 10 milioni di dollari al giorno. Decisamente troppo per una guerra che potrebbe durare, secondo l'opnione di numerosi esperti anche dieci anni. E nemmeno l'addestramento dei ribelli e delle truppe irachene non è detto che porti a qualche risultato, perché ormai in Siria a comandare sono i jihadisti. Finora solo 54 ribelli hanno terminato l'addestramento e il loro capo è stato rapito dal fronte di Al Nusra, affiliato di Al Qaeda in Siria. E comunque richiederebbe anni di tempo.
Nessuna fretta di vincere. Il fatto è che per l'amministrazione Obama, una vittoria troppo rapida sul gruppo di jihadisti potrebbe addirittura peggiorare le cose. In Iraq l'Isis è una variabile di un'equazione che contiene la maggioranza sunnita, ma anche i curdi e la minoranza sciita e quindi l'Iran. Gli Stati Uniti finanziano i combattenti curdi nel Nord del Paese ma al tempo stesso non appoggiano la loro richiesta di indipendenza. Se le milizie sciite ottenessero le armi americane l'Isis potrebbe essere sconfitto in pochi mesi. Ma questo significherebbe consegnare la popolazione sunnita dell'Iraq nelle mani di Tehran. Ma soprattutto, dopo l'accordo sul nucleare, una vittoria congiunta di Usa e Iran sull'Isis confermerebbe la narrativa sunnita di un'alleanza contro di loro, infuocando nuovamente la regione. Insomma, troppe variabili: meglio attendere che le milizie sunnite riescano a sbrigarsela da sole.
In Siria la situazione è ancora peggiore. L'obiettivo ideale sarebbe potenziare i gruppi ribelli non fondamentalisti. Ma per fare questo è necessario aspettare degli anni. E nel mentre il regime di Assad non deve collassare, altrimenti il caos sarebbe ancora maggiore. Né tantomento i curdi, gli unici ad aver finora ottenuto qualche risultato contro l'Isis possono ottenere la nascita di uno stato semi-autonomo ai confini della Turchia. Come hanno dimostrato gli scontri degli ultimi giorni, Ankara è pronta a intervenire con la forza più per evitare questo scenario che per combattere i terroristi dell'Isis. Quindi, ancora una volta, la soluzione migliore sembra attendere. Una cosa è certa: senza una strategia ben definita, una vittoria prematura sul Califfato non solo sarebbe inutile, ma potenzialmente disastrosa.
Tiziano Rugi