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BUENOS AIRES 6 AGOSTO 2014- Il cinema e la letteratura hanno narrato spesso il dramma che il popolo argentino visse nel 1976, quando prese il potere la Junta Militar, uno dei regimi più sanguinari al pari del cileno Pinochet, salito al potere 3 anni prima con il golpe. [MORE]
Si immaginava e si sapeva che dietro quella scia di sangue c’era la CIA, da sempre interessata al Sud America. Sono storie che mettono i brividi a raccontarle, ma anche a scriverle.
La Junta capeggiata da Videla fu di una brutalità inaudita. Film come “Garage Olympo” o “ La notte delle matite spezzate” sono paradigmatici. In Argentina fu attuata contro gli oppositori la cosiddetta guerra sucia, la guerra sporca. Per quelle atrocità, i membri della Junta sono stati condannati all’ergastolo nel 2010. Ma nessuna condanna potrà mai far dimenticare il dramma che si consumava nel dramma. I militari, nei vari blitz in quelli che erano ritenuti covi di oppositori al regime, sequestravano chiunque e veniva sottoposto alle peggiori torture, come scariche elettriche sui genitali e percosse con ogni tipo di oggetto contundente. È tutto documentato negli atti dei processi contro Jorge Videla e Leopoldo Galtieri o Alfredo Astiz, conosciuto come l’angelo biondo della morte. Il dramma è conosciuto con il nome di desaparecidos, letteralmente scomparsi. Una volta arrestati, di questi oppositori si perdeva ogni traccia. Letteralmente spariti. Solo dopo anni si è scoperto il loro orribile destino. Dopo un interrogatorio a colpi di torture, questi erano narcotizzati e caricati su aerei che sorvolavano l’oceano e gettavano in mare i detenuti. C’è anche un altro aspetto più inquietante: alle donne in stato di gravidanza che partorivano in cella era tolto il bambino e dato in adozione, spesso a mogli di gerarchi della giunta o legati o collusi con i golpisti.
Di loro si perdevano le tracce, di madri e bambini che non sono più tornati alla propria famiglia. Sin da subito le madri dei desaparecidos diedero vita a un movimento pacifico di protesta in Plaza da Mayo, davanti al palazzo presidenziale della Casa Rosada, sede della Junta. Con i loro fazzoletti bianchi, le madri, poi diventate nonne, hanno sempre chiesto la sorte dei loro cari. La domanda era sempre la stessa: Dònde estàn? Dove sono? Con i cartelli sui quali erano affisse le foto di figli, mariti, giravano intorno a Plaza de Mayo.
Tra quelle donne, c’era anche Estela Carlotto. La sua storia è comune a quella di tante altre madri.. Carlotto nel frattempo è diventata la presidentessa delle Abuela del la Plaza de Mayo. Estela aveva un figlia, Laura, rapita nel 1978. Questa fu detenuta nell’ESMA, la scuola di meccanica della Marina Militare. Laura era incinta la momento della sua scomparsa. Sua madre s’impegnò sin da subito a cercala. La loro ultima conversazione è una chiamata telefonica fatta da Laura dalla sua prigionia. Di lei non saprà più nulla. E non saprà più nulla del bambino che sua figlia portava in grembo.
Estela non si arrende e cerca dappertutto. Per 36 anni non molla il colpo. Lo scorso 5 agosto 2014 annuncia che ha ritrovato suo nipote, figlio di Laura. Lo ha trovato a Olivarria, a 350 Km a sud di Buenos Aires. Il giovane si chiama Ignacio Hurban e fa il musicista e docente e proprio lui ha voluto fare il test del DNA, scoprendo la verità.
Ignacio ha 36 anni e fu adottato da questa famiglia nel sud argentino, contro la quale il giovane sta riflettendo su cosa fare nei confronti della sua famiglia adottiva. La notizia a Buenos Aires è stato accolta con immensa gioia.
Sua nonna Estela lo aveva sempre chiamato Guido, come sua figlia Laura le raccontò nell’ultima telefonata fatta dalla ESMA.
E sul filo del telefono si conclude questa storia. Il nipote Hignacio, da sua nonna chiamato Guido, ha ricevuto una telefonata con la quale lo si metteva al corrente della sua vero origine. Per lui si è riproposto il dramma di tanti altri giovani argentini, nati nelle prigioni e dati in adozione a militari legati ai golpisti.
Per Estela Carlotto è la fine di un dramma e di una lotta nata quando al potere c’era ancora Videla.
Giovanni Dimita