

MILANO, 1 MAGGIO 2013- Succede che a Milano, in piazza della Scala, una borsa lasciata incustodita sul pavé desti all'istante insani sospetti, ansie, paura. Succede che chi passa di lì si spaventi, si abbandoni alle più catastrofiche ipotesi, corra spaventato ad avvertire agenti di pubblica sicurezza. È l'emblema della condizione di perenne allerta in cui siamo costretti a vivere tutti oggi: un oggetto abbandonato in un angolo di piazza, forse incautamente dimenticato da un passante, è oramai una condizione necessaria e sufficiente affinché si allerti la polizia, si transenni la zona interessata, si proceda all'allontanamento forzato del misterioso manufatto. Per poi scoprire che una comune samsonite rigida di colore nero altro non conteneva che effetti personali. [MORE]
Un episodio poco degno di nota, in un giorno di festa non particolarmente degno di note positive, in una Milano rigida e rassegnata ai toni plumbei, sempre in agguato dietro sprazzi di irriconoscibile sole. Se non fosse che, nella sua banalità, questo avvenimento sa svelarci con chiarezza quel clima di terrore che scivola sotto la quotidianità cittadina. A Milano, come a New York, a Madrid come a Tokyo. La tara dell'uomo moderno è la paura: spesso irragionevole, perlopiù dettata da ansie reali, annidatesi nelle sempre più fitte pagine di cronaca. Le città sono state piegate troppe volte dal dramma inatteso, da uno scoppio improvviso, da uno sparo a ciel sereno. E tra le cicatrici che ci portiamo addosso, vi è anche questa: la fobia.
"Qui chi non terrorizza, si ammala di terrore". Era il 1997 e a cantare era De André. Non è cambiato poi molto.
Emmanuela Tubelli