Mezzanotte a Parigi, ma Woody Allen non tramonta mai
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NAPOLI, 9 DICEMBRE 2011 - Con la stessa, fragrante puntualità dei cinepanettoni ma senza le destinazioni esotiche o paninare dei Parenti poveri – anzi, ricchissimi – bisogna ammettere che negli ultimi anni Woody non ha mancato di recapitare il proprio cadeau con fiocco e pellicola a fans ed amanti del cinema in genere. E – per ripeterci anche noi – se non sono sempre "pellicole coi fiocchi", il pensiero resta comunque più che gradito, fintantochè Babbo Natale Allen si mantiene così longevo e prodigo, a differenza dei soliti babbi – meglio, dei soliti idioti. [MORE]
Anche "Midnight in Paris", infatti, come i precedenti "Basta che funzioni" (2009) e "Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni" (2010), è opera lieve e discreta, mai scialba; ben sceneggiata, ma senza sproloqui; intrisa – stavolta – di un candore onirico privo di retorica e bollicine, capace di sposare con fedeltà il retrogusto surreale dello humour made in Manhattan.
Un paio di minuti e si capisce dove (non) si va a parare. Saranno le atmosfere a prevalere, più che la storia. La trama è semplice a dirsi, ma tutta da vivere – o da sognare, dopo una mezza sbornia sotto la pioggia in un boulevard. Ouverture di 3 minuti simil-Manhattan con souvenir visivi di Parigi a suon di jazz, poi fuori campo la dichiarazione d'amore alla capitale transalpina di Gil, sceneggiatore di Hollywood con aspirazioni da scrittore, in soggiorno in Francia insieme alla futura sposa Inez. Lei: molto concentrata sui preparativi, le gite fuori-porta, lo shopping e le danze. Lui: velleità letterarie, velleità di trasferirsi a Parigi, velleità di viaggiare nel tempo, nella Parigi degli Anni Venti. E ci riuscirà – chissà come? Metti una sera: Hemingway, Scott Fitzgerald, Picasso e compagnia bella a ballare il Charleston.
Già è partito il tam-tam del "bello, ma non come i suoi capolavori". Come se gli artisti fossero macchine da guerra, o prototipi di auto in evoluzione di anno in anno. L'Allen degli ultimi 10 anni ha un'identità che travalica il lemma enciclopedico Woody Allen. Le sue sono opere di un uomo maturo, con idee, con sentimenti. Il garbo viene a volte scambiato per faciloneria, il savoir faire narrativo per semplicismo, l'impassibile serenità per vuoto amarcord. Ma "Midnight in Paris" è l'esemplare alleniano fatto appositamente per smentire simili detrazioni, poichè proprio sul terreno impervio dello "scrigno dei ricordi" – o del negozio di nostalgie, come quello del romanzo che sta scrivendo Gil – il regista continua ad essere stoicamente sè stesso, eppure allo stesso tempo rispetto agli ultimi film non esita ad insaporire il racconto con la spezia più audace di un immaginario plateale nella sua genuinità.
Così, il film è una grande zucca che diventa carrozza, e non torna mai zucca: per la capacità di sospensione di una sceneggiatura che bandisce le interrogazioni e si fa quasi colonna sonora per immagini. I vari Dalì, Picasso, Fitzgerald, Matisse, Bunuel, Gauguin e company, sono sagome volutamente prive di spessore, fatte della stessa sostanza dei sogni; le loro parole, battute felpate che accompagnano un balletto. Owen Wilson (Gil) rasenta la parodia di Allen giovane, con professionale simpatia: ma era necessario? Per il resto, spazio e tempo incantati sono i veri protagonisti di una mezzanotte cinematografica sempiterna, tutta scarpine di cristallo: ma senza fragilità, Allen ha la scorza dura. Rachel McAdams anonima, la Cotillard da favola.
Antonio Maiorino