Mare Nostrum: un progetto per rieducare i migranti alla bellezza del mare
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Un’esperienza molto significativa quella che l’Associazione Mondo Parallelo ha messo in campo. A raccontarcela è il suo fondatore e Presidente Marco Pietro Frascà.
“In effetti si: il progetto, dal nome Mare Nostrum, è molto particolare. Negli anni siamo riusciti ad ottenere in assegnazione alcune imbarcazioni sequestrate, le chiamano le “carrette del mare”, quelle con le quali migliaia di migranti sbarcano sulle nostre coste, le abbiamo riqualificate e le impieghiamo in attività di utilità sociale proponendo oltre alla tutela del mare, una sorta di viaggi educativi: primo su tutti, riportare in mare i migranti che sono sbarcati proprio con quelle imbarcazioni. L’intento è quello di aiutarli a superare il trauma che hanno vissuto durante un viaggio non proprio sicuro e comodo e, nello stesso tempo, portarli alla scoperta dell’ecosistema marino.
Le imbarcazioni sono omaggiate nel porto di Catanzaro Lido. Prima di fare questa esperienza i ragazzi si sono avvalsi dell’assistenza di una psicologa che li ha aiutati ad affrontare nuovamente una situazione che, per loro, è stata molto dolorosa. Alcuni non se la sentono ancora di affrontare questa prova e noi non abbiamo fretta: sappiamo aspettare. Io amo il mare, lo vivo nella e della sua bellezza e ricchezza e il solo pensare che qualcuno possa associare il mare a qualcosa di negativo mi rattrista molto.”
Alla prima uscita, accompagnati da educatori e psicologa, sono saliti a bordo alcuni ragazzi del centro SAI per minori di San Sostene. Quasi tutti hanno affrontato l’esperienza in maniera abbastanza serena. Solo un paio di loro ha manifestato un po’ di turbamento, prontamente sostenuto dalle figure competenti a bordo e dagli altri compagni di viaggio.
“Sono contento – continua Marco Frascà - per come è andata questa prima uscita in mare. Oltre ai ragazzi e agli operatori ho chiesto di essere presente anche a Daniela Trapasso, la quale ha visto, assistito e curato gli sbarchi nella nostra regione sin dalla fine degli anni Novanta e che per molti anni è stata la referente per la Calabria del CIR, Consiglio Italiano per i Rifugiati.”
E allora chiediamo direttamente a lei come ha vissuto questa esperienza.
“Con molta emozione e ansia – riferisce Daniela – perché per me è stato molto forte salire su questa imbarcazione e fare un piccolo viaggio con i ragazzi del SAI di San Sostene. Sia io che Marco siamo di Badolato, luogo di molti sbarchi e primo esempio di accoglienza. Sin dal 1997 sono stata sulle spiagge quando arrivavano queste carrette del mare. Ho visto scendere di tutto: donne incinte, anziani, bambini, malati. Ho visto ogni tipo di trauma nei loro occhi e sulla loro pelle. Ho ascoltato e registrato i loro racconti fatti di violenza, soprusi e terrore. Mi hanno riferito ogni dettaglio del viaggio per mare: l’acqua potabile che mancava, la necessità di andare in bagno, i pianti dei bambini, i parti di donne al termine della gravidanza, la morte di compagni di viaggio e molto altro.
È con questo carico emotivo che ho messo piede su quella imbarcazione ed è stato di forte impatto, davvero tanto, non ho altre parole per descriverlo. Sulla piccola barca con cui ci siamo mossi c’era un numero di persone adeguato, tutte le autorizzazioni e la certezza che, in caso di necessità avremmo avuto i soccorsi necessari; tutto questo non succede quando questa povera gente si mette in mare e, l’esperienza di Cutro e non solo, lo hanno insegnato. Molti di loro non hanno mai visto il mare prima di imbarcarsi. Guardavo la stiva e la immaginavo piena di disperati, molti di più di quanti la barca ne potesse imbarcare, che vengono qui in cerca di salvezza.
I ragazzi che erano con noi mi hanno raccontato del mare grosso il viaggio e della paura che li hanno accompagnati durante il viaggio. E’ difficile spiegarlo per chi non ha mai visto da vicino queste situazioni. Marco sta facendo davvero un ottimo lavoro, utile non solo ai ragazzi che sono sbarcati ma anche volto a sensibilizzare su una tematica, quella delle migrazioni, troppo spesso ridotta solo ad una questione di ordine pubblico”.