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ROMA, 15 MAGGIO 2013 – Presso il Museo Fondazione Roma, nella sede di Palazzo Sciarra, è dedicata - fino al 21 luglio 2013 – un’antologica alla scultrice americana Louise Nevelson (Kiev 1899 - New York 1988), nata Berliawsky ed emigrata negli U.S.A. con la famiglia nel 1905, che ha rivoluzionato l’arte plastica del secondo dopoguerra.
La mostra “Louise Nevelson”, con una selezione di oltre 70 opere provenienti da collezioni nazionali e internazionali, racconta il percorso artistico dell’eccentrica e anticonformista Lady Lou, dagli esordi degli anni Trenta ai lavori della maturità. Nei disegni e nelle terrecotte del primo periodo, è evidente l’influenza del cubismo, della scultura africana e precolombiana, di Picasso, Frida Kahlo e Diego Rivera, con cui era entrata in contatto nel corso dei viaggi in Europa, in Messico e Guatemala. Seguono i grandi e misteriosi assemblages - principalmente lignei - del periodo nero, bianco e oro (degli anni Cinquanta e Sessanta), con la loro poetica astratta e surreale, talora successivi a un lutto, altre volte ispirati dal ricordo delle icone russe della madrepatria o dall’incessante trasmutazione della materia.
La Nevelson, con un sorprendente e sofisticato taglio ecologico ante litteram, recuperava oggetti di uso quotidiano, frammenti di manufatti, gambe di sedie, modanature sagomate, materiali ed elementi trovati per strada o residuali della produzione artigianale e industriale, objets trouvés di legno, acciaio o in plexiglass, poi assemblati nel suo studio in una nuova forma, in una nuova vita.
Esemplare, il monumentale “Homage to the Universe” del 1968 (in legno dipinto nero, 275 x 900 x 90 cm), un omaggio allo spazio cosmico, in cui «si esprime la quintessenza dell’arte dell’assemblaggio» ha commentato il curatore Bruno Corà, che in questa composizione – legata oltre allo spazio, anche al tempo, alla memoria - riconosce «un senso di spazialità musicale». Un ritmo creato dai boxes, dalla scatole lignee, vuote e piene, in equilibrio come le pause di una partitura, con il loro gioco di luce e ombre. La stessa artista amava definirsi “l’architetto della luce” (o dell’ombra!).
È stata infatti la creatrice dell’environment, un’operazione artistica in cui l’assemblaggio rende viva la scultura creando uno spazio che include l’osservatore, un’installazione dunque, che è motivo di «una festa per se stessa», per usare le parole della Nevelson.
Con quest’importante retrospettiva (catalogo Skira) promossa dalla Fondazione Roma in collaborazione con Arthemisia Group, la Nevelson Foundation di Philadelphia e la Fondazione Marconi di Milano, con il patrocinio dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America, «il Museo Fondazione Roma conferma il proprio impegno per la diffusione della cultura internazionale», ha dichiarato il presidente dello stesso museo, prof. avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele.
In mostra si alternano capolavori realizzati fino agli anni Ottanta, come “Dawn’s Host” (1959), “Night Sun I” (1959), “The Golden Pearl” (1962), “Ancient Secrets II” (1964), “Dark Sound” (1968) e “Tropical Landscape I” (1975), che offrono l’imperdibile occasione di accostarsi alla visione di una artista che ha lasciato il segno come pochi.
«Gli esseri umani hanno in se stessi ogni possibilità
e dipende solo da noi comprenderlo e accettarlo.
Si può comprare il mondo intero e sentirsi vuoti,
ma quando si crea un mondo intero,
allora si è pieni».
(Cit. da un’intervista alla Nevelson, “Dawns & Dusks”, 1976).
(Immagine: locandina della mostra dalla pagina facebook Fondazione Roma Museo)[MORE]
Domenico Carelli