Le buste paga costituiscono prove valide del credito retributivo?
L'Avvocato INFOrma Calabria Vibo Valentia

Le buste paga costituiscono prove valide del credito retributivo?

lunedì 11 gennaio, 2021

VIBO VALENTIA, 11 GENNAIO – Con riferimento al credito retributivo insinuato dal lavoratore allo stato passivo fallimentare, in base ai principi in materia di efficacia probatoria delle buste paga rilasciate dal datore di lavoro, esse sono pienamente valide ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del suo timbro. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 74/2021, depositata il 7 gennaio.

Il caso. Il Tribunale competente rigettava l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 98 L. Fall., avverso lo stato passivo del fallimento della società, da cui era stata escluso il credito, dalla medesima insinuato, di Euro 10.244,85 a titolo di T.f.r. e ultime tre mensilità. Esso ne riteneva il difetto di prova per la mancata sottoscrizione delle buste paga prodotte, in violazione della L. n. 4 del 1953, art. 1, nell’inapplicabilità dell’art. 2735 c.c. e nella loro inopponibilità, in assenza di data certa, al curatore avente qualità di terzo in sede di accertamento dello stato passivo.

Avverso tale sentenza la lavoratrice proponeva ricorso per cassazione. Il Supremo Collegio, in via di premessa, ribadiva il principio generale di terzietà del curatore in sede di accertamento del passivo (Cass. 12 agosto 2016, n. 17080; Cass. 20 ottobre 2015, n. 21273; Cass. s.u. 20 febbraio 2013, n. 4213; Cass. s.u. 28 agosto 1990, n. 8879), essendo peraltro noto che l’inopponibilità riguardasse la data della scrittura prodotta, ma non il negozio: “sicché, esso e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso” (Cass. 7 ottobre 1963, n. 2664; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4705; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2319; Cass. 22 marzo 2018, n. 7207).

Secondo gli Ermellini il Tribunale aveva correttamente applicato i principi in materia di efficacia probatoria, “in merito al credito retributivo insinuato dal lavoratore allo stato passivo fallimentare, delle buste paga rilasciate dal datore di lavoro e pienamente valide come prova, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del suo timbro (Cass. 1 settembre 2015, n. 17413): ferma restando, tuttavia, la facoltà della curatela controparte di contestarne le risultanze con altri mezzi di prova, ovvero con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice” (Cass. 5 luglio 2019, n. 18169; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32395).

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la lavoratrice alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express


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